Tutti si muore soli. La prima indagine del commissario Veneruso, Diego Lama

Tutti si muore soli. La prima indagine del commissario Veneruso

Tutti si muore soli. La prima indagine del commissario Veneruso, Diego Lama edito Mondadori


Il giallo Mondadori mi attrae con il suo innegabile e memorabile fascino, al di là della copertina che lo presenta, in questo caso con l’ombra allungata di un uomo che si accinge a salire dei gradini.
Un giallo ambientato nell’Ottocento! Chissà quali sorprese mi riserva.
Uno sguardo d’insieme alla struttura per cogliere capitoli e titolazione e via, mi immergo nella lettura.
Faccio subito i conti con un nuovo commissario, che inevitabilmente mi viene da confrontare con gli altri già noti. Invece no, il commissario Veneruso è alquanto singolare, per non dire “strano”, e colpisce per le sue peculiari caratteristiche.
Fa arricciare il naso il suo corpo maleodorante, i piedi sofferenti tirati fuori dalle scarpe ogni qualvolta sia possibile, con gli alluci che si affacciano dai calzini bucati, e fa tenerezza la sua fragilità, il suo faticoso incedere per tenere il passo coi delitti che gli piovono addosso al suo rientro, dopo una settimana di influenza.
La morte di una baronessa, di una prostituta dodicenne e di uno studioso di Milano, saranno il nuovo oggetto delle sue indagini, in ambienti tanto diversi tra loro, come le stesse vittime. Si passa dalla stanza più misera dei Bassi ai palazzi più eleganti, sfavillanti di ricchezza e di cultura.
Venti capitoli scandiscono il tempo. Dalle cinque del ventotto all’una del ventinove luglio 1883. Ed è proprio il commissario che indica le ore che passano, tirando fuori l’orologio dal taschino del panciotto. Un tempo lento, in cui si collocano incontri con personaggi interessanti e indagini che ci lasciano basiti, ben lontane dai metodi a cui siamo abituati, condotte come se si trattasse di una passeggiata tra amici per prendere un caffè al bar, con il cadavere che viene toccato per controllare ferite, rigor mortis ed altro, e senza un minimo di buon senso, che almeno preserverebbe la scena del crimine.
Qualche accenno alla modernità, puramente verbale, lo ritroviamo grazie ai suoi collaboratori.
Polverino insiste nel ricordargli che ormai esistono manuali, libri, protocolli, per condurre le indagini in modo diverso, insieme al collega Cuomo, che afferma: “Dobbiamo usare i metodi moderni come fanno in Inghilterra, dobbiamo usare la scienza…” Il commissario risponde secco: “Scienza della scemità”.
La lettura intriga e diverte. Esilaranti i momenti in cui vengono coinvolti, nella Biblioteca Nazionale di Napoli, illustri personaggi, come Matilde Serao, Edoardo Scarfoglio, Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo e Francesco Mastriani, che si affacciano sulla scena per essere presto rintuzzati dal commissario che fraintende comicamente quanto dicono.
“Cominciava a provare dell’interesse pe’ sto tizio un po’ felino. (Leopardo, Leopardi). Chi c…o era?”
“Serao e Scarfoglio: insomma due giornalai.”
Con loro però Veneruso “sentiva di non possedere le parole giuste per affrontarli e neanche le giuste emozioni. Sentiva l’imbarazzo di quando era ragazzino e il maestro delle elementari lo cacciava sempre nell’angolo col cappello di asino in testa e la mano dolorante per le bacchettate.”
C’è un’ironia sottile che conferisce brio alla narrazione e la catena di amanti e di corna legata alla morte della baronessa Salomè è così lunga da non tenerne il conto. Sembra di essere davanti a un domino e mentre le scarpe torturatrici del commissario ci riportano alla memoria “Marsina stretta” di Pirandello, continuano a piovere delitti, in contesti sempre diversi, con un Veneruso che tiene il conto del tempo che passa, precisando l’ora ad ogni fine capitolo.
Ascolta paziente tutti, lasciando che le parole si depositino nella propria memoria e osserva attento tutto ciò che si presenta davanti ai suoi occhi, fino a quando il quadro complessivo non si ricompone nella sua mente e la chiave per risolvere ogni enigma è già nelle sue mani.
L’incontro con gli studiosi fa però nascere in Veneruso anche nuove riflessioni: “La bellezza e il piacere del sentir raccontare storie, magari anche di leggerle era proprio quello. Dimenticarsi di sé stessi ed entrare in altri corpi, in altri luoghi, altre atmosfere. E non importava se durava poco: quel poco faceva assai bene alla testa e anche al corpo e pure all’anima.”
C’è un tema importante intorno al quale ruota tutta la narrazione, che la presenza del direttore della biblioteca, Guerrieri, ricorda continuamente: la morte delle parole, la fine della lingua napoletana! Una paura giustificata nell’Italia unita, dove si auspicava l’uso della lingua nazionale. Che fine avrebbero fatto i dialetti?
“Ecco, a cosa servono le biblioteche: a conservare gli universi cancellati dal tempo, commissario. Il delitto della nostra lingua, del napoletano.”
Di parole incomprensibili nel romanzo ce ne sono tante, ragion per cui è stato necessario alla fine del libro curare un Glossario per andare incontro alle curiosità del lettore. Anche la scelta di tempi e modi verbali tipici della lingua parlata è ben calibrata per dare la giusta ambientazione alle scene.
Sono ormai arrivata alla fine del libro e il mio pensiero va già dietro nuove indagini di Veneruso che mi piacerebbe seguire. Spero che lo scrittore sia pronto.
Intanto mi concedo ancora un sorriso con alcune battute tra il commissario ed Esposito:
“Che categoria umana è?” “So’ giornalisti, commissà, una razza nuova: rompiscatole e carogne, ma bisogna tenerseli buoni che poi si vendicano.”

Maria Teresa Lezzi Fiorentino

Napoli, luglio 1883. Veneruso, commissario della Polizia del Regno tignoso e istintivo, viene restituito al mondo dopo una settimana di influenza che l’ha reso ancora più amaro e insieme innamorato della vita. In sua assenza, una baronessa è stata uccisa, e sospettati e corrispettivi alibi si rincorrono in una catena di corna e controcorna che travolge mezza aristocrazia. È però solo il primo dei delitti che Veneruso si ritrova sulla scrivania, ognuno consumato in un angolo diverso di una città che ha tante anime quante stelle sopra i palazzi: c’è quello di uno studioso di Milano, pugnalato nella Biblioteca Nazionale, e il più doloroso di tutti, con vittima una prostituta dodicenne. Capitolo dopo capitolo, in un ininterrotto piano sequenza lungo venti ore, Veneruso continuerà a oscillare tra le ville nobiliari e i quartieri tetri anche di giorno, solo per scoprire che non è semplice capire dove l’umanità dà il peggio di sé, e che tra i tanti assassinii che si stanno consumando tra i vicoli di Napoli c’è anche quello di una lingua e di un’intera cultura.

Napoli 1964. Architetto e giornalista, ha pubblicato diversi romanzi e racconti prima di vincere il Premio Tedeschi 2015 con La collera di Napoli.

Genere: Gialli e Thriller

ISBN: 9788804739043

384 pagine

Prezzo: € 17,50

Cartaceo

In vendita dal 8 giugno 2021

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Pubblicato da Maria Teresa Lezzi Fiorentino

Maria Teresa Lezzi Fiorentino vive a Lecce, sua città natale, dedicandosi alla famiglia e al lavoro. Coltiva da sempre due grandi passioni, lettura e scrittura, per sé e per tutti coloro ai quali riesce a trasmettere il proprio entusiasmo. Il fulcro intorno a cui hanno ruotato i suoi scritti, articoli e recensioni, è stato per lungo tempo l’assetto metodologico-didattico, con un’attenzione particolare alla sfera emozionale e al benessere degli alunni. Dopo un appassionante percorso professionale in varie scuole del Salento, che ha visto l’autrice insegnante di scuola materna, psicopedagogista e docente di materie letterarie, nel 2018 avviene la svolta ed inizia una nuova stagione della vita,in cui la scrittura privilegia la narrazione, partendo dalla quotidianità e dalla memoria del tempo vissuto. È tempo di racconti brevi, lettere, autobiografie e recensioni. Sono dell’autrice, pubblicati con Youcanprint:Di vita in vita, La via maestra, Spigolando tra i ricordi, Passo dopo passo … e altri racconti.

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