Un ferragosto sfortunato… Ma non troppo di Lucio Sandon

Disegno originale di Roberto Rosatelli

Torna il Dottor Gardenia con una sua avventura di Ferragosto

In una piccola conca tra capo Bruno e punta dell’Oncino, sulla litoranea che unisce Torre del Greco a Torre Annunziata sorge una rinomata trattoria che prende il suo nome dal vivido colore della costruzione. Si trova esattamente sulla riva del mare, nella zona detta delle Mortelle, il mirto, che un tempo infestava la zona e del quale rimangono ormai solo poche tracce. Qui re Carlo di Borbone amava cacciare le quaglie che giungevano dall’Egitto sorvolando il mediterraneo, e all’inizio la locanda serviva solo per ristorare una piccola popolazione di marinai e contadini e quei pochi forestieri che d’estate risiedevano nelle ville circostanti.
A ferragosto la città era deserta, e i pochi passanti sudati cercavano di guadagnare le scarse oasi d’ombra regalate dai grandi pini marittimi. Nello studio del dottor Gardenia era quasi mezzogiorno, e si studiava il da farsi: tra le maestranze vi erano grossi dubbi se ordinare una granita alla menta e resistere fino alla chiusura, o abdicare alla calura ed all’assenza di clientela e chiudere senz’altro.
Il direttore sanitario aveva già iniziato una tradizione che sarebbe continuata negli anni: le sue collaboratrici sarebbero state sempre rigorosamente delle donne belle ed intelligenti. La prima della serie era Lorenza, una ragazza dai riccioli rossi, con un fisico ben tornito e lunghe gambe snelle, nei cui occhi verde scuro ci si poteva anche perdere, e lui già era sulla buona strada. Nel momento preciso in cui il dottor Gardenia stava per sollevare la cornetta e chiamare il bar, il telefono prese a squillare.
«Clinica veterinaria»
Era Carletto, il proprietario di uno storico ristorante che sorgeva sugli scogli della strada litoranea. Carletto era famoso per servire pesce freschissimo sulle terrazze del suo locale erano a picco sul mare, ma serviva anche carni di maiale e cinghiali, che lui allevava nei terreni di sua proprietà.
«Dottò, tengo o cane ‘e presa (un mastino napoletano di nome Sultano, dal carattere esageratamente tranquillo), che da due giorni non mangia, adesso sono andato per portargli un po’ di carne ma quando mi vede da lontano, ringhia in modo strano, come se mi odiasse… Potete venire a vedere di che si tratta?»
Come dire di no? A parte il fatto di essere il primo caso del giorno, il buon Carletto, oltre che pagare la visita era solito invitare il dottor Gardenia a dividere il pasto con lui e con i camerieri quando capitava la richiesta di visita negli orari canonici, e il gentile oste faceva spesso in modo da far coincidere le cose in questa maniera. Inoltre il nostro giovane amico allora viveva ancora a casa dei genitori i quali si erano già trasferiti nella casa al mare lasciandolo orfano dei manicaretti materni e in balìa di scatolette di tonno e tranci di pizza.
Si partì dunque alla svelta, il dottor Gardenia alla guida e Lorenza appesa alle sue spalle perché il mezzodì era già battuto, ostacolati solo dalla mancanza di velocità del mezzo di locomozione: si trattava di un antiquato ciclomotore magnificato dalla Piaggio come ottimo mezzo molleggiato, ma senza far menzione delle prestazioni inesistenti.
Particolare che può sembrare insignificante, il motorino era bianco: in seguito capiremo l’importanza del colore.
All’arrivo al ristorante i due veterinari vennero accolti da un profumo celestiale.
«Dottò, il pescatore ha portato dei gamberoni vivi, stiamo facendo un sughetto per i noi e i camerieri, se ci fate l’onore di rimanere con la dottoressa, ne abbiamo lasciato qualcuno per la graticola.»
Rinfrancati da un calice ghiacciato di falanghina, i tre si diressero al di là della strada dietro le cucine del ristorante, dove a un paio di centinaia di metri sorgevano i box dei cinghiali, e già questo, se avessero avuto un minimo di esperienza avrebbe dovuto dar loro un minimo di sospetto, invece, incuranti del pericolo, i due giovani professionisti si diressero verso il recinto del cane, spingendo il motorino a mano. Arrivati in prossimità del ricovero, tra l’erba alta, Sultano effettivamente si slanciò verso di loro ringhiando. Cosa molto strana, perché nonostante l’enorme mole la bestia era di buon carattere ed era tenuta sempre libera e ben nutrita.
Il ristoratore si era fermato a parlottare con un muratore intento a sistemare delle coperture dei box. L’uomo stava usando alcuni rotoli di guaina che fissava sui tetti con l’aiuto di un bruciatore a gas. Nel frattempo il dottor Gardenia e Lorenza osservavano il molosso, che sembrava in preda ad un attacco di rabbia. Sultano ringhiava, sbavava e tentava di abbattere la robusta recinzione per aggredirli. Fu in quel momento che Lorenza, voltando la testa per il dolore di vedere il cane in quelle condizioni, lanciò un urlo di orrore: il ciclomotore da bianco era diventato nero!
Migliaia, milioni di piccolissime zecche, forse portate fin lì come ospiti da qualche cinghiale, a causa del caldo si erano riprodotte a milioni e avevano invaso i terreni secchi tutto intorno, e ora avvertendo una fonte di calore si erano avventate sul veicolo ricoprendolo in pochi attimi.
«Argh! Le zecche, che schifo!»
Gli schifosi parassiti non avevano perso tempo: mentre loro si attardavano a chiedersi perché il cane fosse imbestialito, loro avevano guadagnato le gambe dei veterinari e a centinaia avevano silenziosamente iniziato a risalirle.
«Ahh! Mi sono saltate addosso! Aiutoooo!»
L’aiuto venne immediatamente portato dal bravo oste il quale, strappato il cannello dalle mani dell’operaio, corse verso i due, urlando fuori di sé.
«Zecche maledette, lo so io come farvi fuori, c’è solo un modo!»
E giù a sparare fiamme verso le gambe dei veterinari, che da parte loro già urlavano terrorizzati, saltando come capretti per scuotere le zecche ed ora anche per evitare le fiamme.
Il fuoco veniva diretto ovunque e a casaccio: verso il cane, che fuggì in fondo al box, improvvisamente rinsavito, verso i cinghiali, che cominciarono a grugnire e scalciare tra loro, verso il motorino, che cominciò a prendere fuoco attizzato dalle sterpaglie e dal vento di scirocco che soffiava da giorni.
Per fortuna uno dei camerieri che aveva osservato la scena, prese un estintore dal ristorante e cominciò a correre verso lo sfortunato gruppetto cercando di strappare la linguetta della bombola, ma cadde rovinosamente inciampando nel tubo del bruciatore e venne immediatamente aggredito a sua volta da migliaia di zecche fameliche.
L’operaio che assisteva attonito alla scena si risvegliò finalmente dal suo torpore, e afferrando l’estintore che rotolava via, ruppe il sigillo e cominciò a spruzzare schiuma verso le gambe dei due sanitari e verso il motorino, evitando il peggio.
L’incendio però si era propagato alla sterpaglia e ai ricoveri dei cinghiali e minacciava di dirigersi verso il ristorante, per cui dimentichi di tutto, Carletto, camerieri e operai, armati di estintori ramazze e bocchette di acqua, si affannavano a tentare di spegnere il rogo.
Nel frattempo il nostro eroe e la sua collega si erano liberati di abiti e scarpe e rimasti con la sola biancheria intima tentavano di rimettere in modo il ciclomotore, spingendolo a perdifiato, ma essendosi un po’ bruciacchiato, il mezzo che già non era un gioiello di meccanica, tossiva e sputacchiava fumo mentre i due lo spingevano con i muscoli, i polmoni, e con volgari incitazioni ingiuriose.
Probabilmente furono proprio queste a tirare fuori dal mezzo meccanico quel minimo di dignità che gli permise di cominciare a girare, al che i due gli si slanciarono sopra e partirono tirandogli il collo. Si ma dove andare? In ambulatorio non c’era la doccia e poi rimanevano sicuramente alcuni schifosissimi insetti che ancora passeggiavano sulle loro carni.
«Andiamo a casa mia, non c’è nessuno!»
Detto fatto. Vennero percorsi alla massima velocità consentita dal catorcio, i pochi chilometri che separano Torre del Greco da Portici, il cosiddetto Miglio d’Oro.
Nessuno dei due però in quel momento aveva voglia di apprezzare la bellezza delle meravigliose ville vesuviane che lo fiancheggiano fino alla Reggia del Granatello: Lorenza incitava il dottor Gardenia ad accelerare e lui rispondeva che il mezzo stava per restituire l’anima al suo dannatissimo costruttore, mentre la tensione tra loro cresceva ad ogni minuto. Fortunatamente a quell’ora non c’era nessuno in giro a notare due ragazzi in mutande che si urlavano contro a bordo di un lentissimo motorino mezzo bruciato.
Finalmente arrivarono a casa dei genitori di lui. Il veicolo venne abbandonato senza rimpianti nel cortile, mentre i due presero a salire di corsa le scale dell’antico palazzo.
«Maledizione, le chiavi di casa… Sono sotto la sella!»
Ridiscendi le scale quattro alla volta, recupera le chiavi e zompa verso l’agognata doccia, mentre la bella Lorenza aveva già iniziato una puntigliosa ricerca di eventuali parassiti superstiti contorcendosi sul pianerottolo come un derviscio.
«Forza dai! Apri questa maledetta porta, dov’è il bagno?»
Il dottor Gardenia la guardò stranito.
«Eh no scusa, questa è casa mia, io sono il tuo principale, la doccia tocca a me per primo, la casa antica e c’è un solo bagno!»
«Ma io sono una donna, dov’è finita la tua cavalleria? Guarda che ti denuncio, ti mando in galera!»
Dopo un attimo di riflessione però, fu la ragazza a prendere la giusta decisione.
«Sai che ti dico? La doccia la facciamo insieme, così controlliamo anche bene se è rimasto qualche insetto addosso ad uno di noi!» Poi vedendo l’espressione smarrita del suo capo, fece un risolino malizioso.
«Embè che c’è, non hai mai visto una donna nuda?»
Donne nude lui ne aveva viste, ma mai una cosa del genere. L’immagine che in seguito gli sovveniva in sogno era quella della sua patria avvolta nella bandiera, tutta bianca, rossa e verde.
Gli occhi di Lorenza però lui li aveva scrutati altre volte.
La doccia fu lunga ed accurata, ed ancor di più lo fu la fase di asciugatura. I due si dimenticarono degli insetti, del pranzo, del povero Sultano, del ristorante affumicato, del caldo, e anche del telefono che squillava in lontananza.
Il padre del dottor Gardenia restò in ansia tutto il giorno di ferragosto e ritelefonò la sera tardi, preoccupato che il figlio avesse dovuto lavorare tutto il giorno e non ci fosse nessuno che gli preparasse il pranzo del giorno festivo, ma lo trovò stranamente contento e rilassato, e si tranquillizzò anche lui.
Il bravo Carletto la mattina dopo di buon’ora telefonò al professionista per ringraziarlo del coraggioso intervento ed invitarlo nuovamente a pranzo con la bella collega di cui aveva avuto il piacere se pur nella foga dell’incendio di ammirare le grazie. Vista la titubanza, gli assicurò che le zecche erano state completamente distrutte con il fuoco, mentre i cinghiali erano stati spostati in luogo sicuro.
Sultano era stato lavato, disinfettato e disinfestato e aveva recuperato il suo carattere angelico.
Al dottor Gardenia sarebbe stata elargita una generosa parcella e la riparazione del veicolo danneggiato.
Lorenza rimase con lui ancora pochi mesi con reciproca stima e amicizia… E qualche incontro più che amichevole fuori orario, poi però si trasferì all’estero e scomparve per sempre.

Lucio Sandon

Pubblicato da Lucio Sandon

Nato a Padova e trasferito a Napoli da ragazzo, Lucio Sandon lavora come veterinario. Ha pubblicato tre romanzi: Il Trentottesimo Elefante, La Macchina Anatomica, e Cuore di Ragno. Poi due raccolte di racconti con protagonisti cani, gatti, tigri, leoni e altri animali incontrati durante la quarantennale carriera: Animal Garden e Vesuvio Felix, e infine una raccolta di racconti comici: Il Libro del Bestiario Veterinario. La Macchina Anatomica – Graus editore, è risultato nel 2018 vincitore del premio letterario Talenti Vesuviani, e si è classificato al secondo posto del concorso letterario Albero Andronico, al terzo posto del premio letterario Montefiore di Cattolica, ed è stato selezionato tra i finalisti del premio Zeno di Salerno. Cuore di Ragno – Graus editore, è già stato premiato nel 2019 come vincitore sia del premio letterario Città di Grosseto “Amori sui generis” come inedito, che dei premi letterari Velletri Libris e Talenti Vesuviani, come opera edita. Cuore di Ragno verrà premiato al Campidoglio nell’ambito del concorso letterario internazionale Alberoandronico, mentre è risultato vincitore del Concorso letterario Città di Grottammare nella sezione Romanzo storico. E’ in uscita a firma di Lucio Sandon dopo l’estate, per i tipi di Jonglez Editore di Versailles, la guida turistica del Molise dal titolo “Il Molise Insolito e Segreto. Lucio Sandon collabora con il giornale online Lo SpeakersCorner, dove pubblica settimanalmente il racconto della domenica. Due di essi sono stati premiati: segnalazione di merito al Premio Iplac - Voci di Roma, e Premio Letterario Letizia Isaia, primo premio narrativa. http://www.lospeakerscorner.eu/lo-scrittore-lucio-sandon-e-i-suoi-racconti/

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