Velluto e piume, Rossella Ghigliotti

Velluto e piume

Velluto e piume, Rossella Ghigliotti.

“Ciò che ricordiamo dell’infanzia lo ricordiamo per sempre – fantasmi permanenti, timbrati, inchiostrati, stampati, eternamente in vista.”

Cynthia Ozick

È una fredda mattina di novembre del 1983 quando Ana, seduta su una panchina, si lascia andare ai ricordi…

“Lei era cemento. Caspita, se lo era. Coperta di vecchie piaghe che si erano cicatrizzate nell’istante in cui erano apparse. Ma era veramente così? No, non lo era. Capace di sopravvivere al dolore della carne, vulnerabile a quello della mente, era preda di quel sangue non esondato, circoscritto nei confini dei tagli e rimasto nel suo corpo, grumo denso e pulsante, trombo dei suoi sentimenti (…). Per quale motivo il male che si portava dentro rivendica così tardi il diritto di toglierle il respiro? (…) Le avevano insegnato a trattenere il dolore, a non renderlo pubblico e questo era cresciuto, compagno di un viaggio indesiderato e maledetto. L’avevano educata alla mancanza.”

Ana è figlia di Caterina Mantovani, una donna fredda, sempre arrabbiata con il mondo e con se stessa. Tutto ciò le procura un profondo senso di abbandono e di inadeguatezza.

“A Caterina non andava mai bene nulla. Questo era ciò che Ana avrebbe risposto d’impulso, a chiunque le avesse chiesto di descrivere sua madre. Non una bella donna, dai lunghi capelli corvini e dita affusolate. No. Caterina, nei suoi ricordi, era più uno stato di coscienza che un individuo (…). Prigioniera delle sue numerose nevrosi, chiusa nel suo bozzolo (…). L’eredità di una donna simile non poteva che essere il senso di insofferenza alla vita e la suggestione di un sentimento anziché di un’immagine. Che fosse maligno, poco importava: non era, per prima cosa, un volto. Quanto le era costato esserne figlia…”

Ana nasce in una torrida serata di luglio del 1963 e Caterina, ben presto, si rende conto di non essere preparata a gestire un’altra vita piccola e indifesa. Il distacco di Marcello, suo marito, il senso di impotenza, la lasciano scivolare via via nel baratro della depressione, a cui cerca di rimediare rifugiandosi nell’alcol. La madre, Mentana, si accorge del malessere di Cate e la porta da un medico. Ma non è sufficiente: Marcello, che si sente trascurato e detesta gli atteggiamenti della moglie, si innamora di un’altra donna, Nina, al punto di decidere di lasciare la famiglia. Per Ana, piccolissima, il trauma è terribile…

I giorni dell’abbandono scivolarono via lentamente, scanditi dall’attesa. Ana aspettò il ritorno del babbo e le attenzioni di sua madre. Non sarebbero mai arrivati, né l’uno né le altre (…). Nel ’67, l’unico giorno spensierato sulla spiaggia fu proprio quello dell’addio (…). Ricordava quei momenti come incerti, evanescenti.”

Ma le tragedie non sembrano finire: a un anno esatto dell’abbandono di Marcello, Caterina tenta il suicidio. Ed è proprio Ana a trovarla e a darle la possibilità di salvarsi.

“Nell’ingresso poco illuminato aveva schivato la bottiglia di vetro, la pozza di liquido pungente che si era riversata sul pavimento e si era bloccata. Cate, riversa sul tavolo della cucina, con le braccia stese lungo la tovaglia a fantasia di frutta, sembrava dormire. Il sangue che scivolava dai polsi e imbrattava la stoffa era dello stesso colore delle ciliegie stampate (…). Caterina fallì. La recuperarono all’ultimo istante, per colpa di sua figlia. Santo Iddio, pensò mentre era distesa sul letto d’ospedale, qualche giorno dopo il gesto: quella bambina era nata per renderle ogni cosa più complicata. Cosa era andato storto? Sembrava avercela quasi fatta, invece… (…). Il tormento, la sensazione di inutilità, si sommavano alla vergogna e ci si aggiungeva pure la frustrazione per sentirsi una buona a nulla. Dulcis in fundo, erano arrivati gli strizza cervelli. Il buco nero si allargava proporzionalmente ai loro scavi nei suoi pensieri più intimi. Tutti volevano aiutarla, così dicevano con un sorriso di benevolenza finto come il marmo della stanza in cui si trovava, ma la verità è che non avevano idea da dove cominciare. Faceva paura alla sua famiglia – squilibrata incapace! – ed era materia succulenta di studio per dottorini freschi di laurea. Che tormento, che rabbia! Intanto, per colpa di Ana la imbottivano di pillole e la grappa la vedeva con il binocolo.”

L’idea di Caterina di mettere fine a una vita che reputa indegna di essere vissuta, trova il suo compimento: sarà Aurelio, il suo papà, a trovarla esanime. Ma per Ana i dolori non sono finiti: la lasciano anche la nonna e, a distanza di poco, anche l’amato nonno.

“Nell’83 non aveva più un luogo in cui dormire, nessuno con cui condividere rabbia, gioia e vuoti. Per fortuna c’era don Vittorio, ma era una persona noiosa e pedante e lei con il Signore aveva chiuso. Certo, era buono e gentile, eppure non le aveva mai raccontato di suo padre. Marcello era stato un suo amico, ma non era riuscita a scucirgli una sola parola (…). Anche quel giorno aveva provato a chiedere del padre, ma il parroco era una tomba. Non che i compaesani fossero più loquaci. Avevano eluso tutte le domande. Marcello era un tabù.”

Eppure, a volte, accadono strane cose: miracoli, casualità, eventi forse folli, ma assolutamente veri. Il destino, il fato o chi per esso, spesso prende più del dovuto, ma poi trova il modo per riscattarsi, per rimettere a posto tasselli altrimenti rimasti sospesi, sparpagliati nel caos dell’anima.

Come può un oggetto attraversare vite e sciagure e perdere la rotta e peregrinare per strade tortuose e ritornare da dove è partito, in un giro ad anello surreale? Per caso. E quando succede, si ammanta di un cappotto mistico, fantastico e sfuggente a ogni certezza empirica (…). Perciò il destino abbozzò un disegno e per qualche arcano intreccio, fece in modo di portarlo a termine (…). Il caso non gioca a dadi, ma al calcolo combinatorio sì. Permuta, combina, dispone. E se la verità deve venire a galla, lo farà, anche se si trova nel fondo del golfo e non sa nuotare. E arriva fino alla tasca di un vecchio cappotto, in una mano ignara (…). In qualche modo, e per vie traverse e misteriose, il cosmo opera sempre per sistemare le proprie disattenzioni (…). Qualcosa era evidentemente sfuggita di mano, a chi teneva i fili del destino. Oppure può darsi che fosse tutto orchestrato a meraviglia.”

Ci sono vite difficili, complesse, che mettono a dura prova gli animi delle persone. E poi ci sono quelle particolarmente travagliate, dolorose, che minano gli equilibri interiori, oltre ogni ragionevole tollerabilità umana. Sono quelle esistenze per le quali si ha la sensazione di un destino che si accanisce con crudeltà e ferocia, che si diverte ad infierire senza pietà, infischiandosene di tutte le sofferenze che genera. E non sono storie o romanzi tragici; spesso, purtroppo, è la triste realtà. Ed è difficile, se non impossibile, curare ferite tanto profonde e pregne di dolore antico, intrecciate ai fili della memoria.

L’autrice, con delicata e intensa maestria, esamina la vita di una famiglia ripercorrendo tre generazioni e con essa un malessere invisibile che si insinua nelle loro vite e cresce e si espande, silenzioso e indomabile, lacerando irrimediabilmente i cuori di ogni singolo componente. Nulla si può contro un fato infausto e malvagio.

La narrazione, struggente e perfetta, trasmette chiaramente al lettore la triste sensazione del carico emotivo, che cerca in tutti i modi di schiacciare i predestinati alla sofferenza. Forse, c’è solo un modo per salvarsi, concedendosi una nuova opportunità: imparare a perdonare e a perdonarsi. Siamo esseri imperfetti, tutti indistintamente, e abbiamo una sola vita per imparare a vivere.

O forse no…

Un romanzo forte, introspettivo ed emozionante, scritto in modo eccelso, di cui consiglio assolutamente la lettura.

Muggia, 1983. Ana, ventenne, passeggia sul lungomare e ripercorre il proprio passato. Attraverso il suo sguardo e quello della madre Caterina, emerge una storia di fragilità, debolezze e inganni. Cosa si cela dietro i sentimenti della donna? E quale misterioso legame unisce Ana al gabbiano e al cormorano che la seguono, portando con sé ricordi e colpe passate? Un viaggio singolare negli oscuri meandri della psiche, una storia tesa, amara e una possibilità di riconciliazione.

Rossella Ghigliotti è nata nel 1971 a Trieste, dove vive e lavora come impiegata presso una compagnia di assicurazioni. Laureata in Storia con una tesi di ricerca su Trieste nel periodo 1924-1930, nel 2011 ha iniziato il suo percorso narrativo con L’Esteta del Male, al quale ha fatto seguito, nel 2012, Come gladiatori. Del 2023 il suo terzo romanzo, Ieri, prima che sia tardi. Pittrice, ha esposto suoi lavori a Udine, Roma e Treviso.

Titolo: Velluto e piume

Autore: Rossella Ghigliotti

Collana: Voci

Prezzo di copertina: 18,00 Euro

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Pubblicato da Elisa Santucci

Sono Elisa Santucci, fondatrice ed amministratrice dall'8 luglio 2016 . Il blog nasce dalla mia passione per i libri da sempre, dalla voglia di parlarne e fare rete culturale, perché io penso che il web, i blog, i social si possono usare in tanti modi, io ho scelto di creare un'oasi culturale. io sono pienamente convinta che leggere ci insegna a pensare e a essere liberi. "Leggere regala un pensiero libero come un volo di farfalle, un’anima con i colori dell’arcobaleno , forza e creatività" è il mio motto. Editor freelance, correttore di bozze, grafica. Servizi editoriali .

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