Chiara Gamberale si racconta al Mondo Incantato dei libri.

Oggi per il Blog “Il Mondo incantato dei libri” è un giorno speciale…un momento molto emozionante.

Chiara Gamberale, scrittrice dalla sensibilità immaginifica e seguitissima da lettrici e lettori, è qui con noi a chiacchierare del suo ultimo lavoro, “L’isola dell’abbandono”, recensito  qualche tempo fa e di cui ricordiamo il link : https://www.ilmondoincantatodeilibri.it/lisola-dellabbandono-di-chiara-gamberale/

Questo romanzo è stato apprezzato tantissimo dagli amici e dalle amiche del nostro salotto virtuale e ora abbiamo l’opportunità di saperne ancora di più.

Attraverso sette domande siamo sbarcati anche noi sull’ “Isola” della Gamberale alla scoperta dei suoi molteplici, intensi messaggi.

Incominciamo proprio dall’inizio:

Hai dedicato il tuo romanzo “ A chi resta”, perché?

Perché per anni mi sono concentrata più su quello che nella mia vita mancava, o su chi, come Stefano, uno dei protagonisti, non sa esserci ma nemmeno non esserci…E ho scritto questo romanzo anche per celebrare il coraggio di chi resta. E soprattutto di chi resta con chi resta. In amore non fugge solo chi fugge, fugge anche chi rincorre chi fugge…Perché fugge dalla possibilità reale di una relazione.  

“L’isola dell’abbandono”, che si svolge nell’arco di dieci anni, affronta il tema del cambiamento ma, allo stesso tempo, dell’inevitabilità con la quale si ritorna a situazioni che pensavamo di aver lasciato alle spalle, soprattutto in amore. Quanto è difficile, in una società come la nostra, che sembra guidata da mode e “influencer”, fare un percorso evolutivo autonomo?

Moltissimo, e infatti sono molto preoccupata per le nuove generazioni…Ma quando vado nelle scuole incontro ancora tante ragazze e tanti ragazzi che si ostinano a pensare con la loro testa e a sentire con il loro cuore. E sono da sempre convinta che il mondo può essere salvato solo dagli originali. Per questo racconto sempre storie di personaggi magari controversi, ma comunque uguali solo a loro stessi.

Protagonista indiscussa del tuo romanzo è la psicoanalisi, che accompagna i personaggi  e che ne cambia anche la storia: Damiano, il terapeuta, è infatti una figura molto discreta ma determinante. Il rapporto medico-paziente è delineato però in modo abbastanza insolito: quanto conta il ruolo professionale di Damiano nell’evoluzione della relazione fra lui e Arianna?

Moltissimo…Damiano è stato lo psicanalista di Stefano, il grande amore di Arianna: il rapporto fra lui e Arianna non può che essere fin dal principio compromesso dal suo ruolo…

Centrale nella vicenda è il rapporto fra Arianna e gli uomini: Stefano, Dì, Damiano. Qual è il filo comune che ha guidato la delineazione delle loro caratterizzazioni oppure l’elemento fondamentale che li ha differenziati?

Credo che il filo comune che lega i nostri amori, per noi come per Arianna, altro non sia che il nostro percorso personale, appunto. L’amore disperato per Stefano rivela un’Arianna impaurita dalla possibilità di una relazione vera…Non a caso poi quando si trova davanti Dì, uomo “che resta” è lei a vacillare. E poi arriva Damiano, con tutto il carico di complessità che porta con sé il rapporto con un uomo sposato… Finché non arriva un quarto uomo: Emanuele, il figlio di Arianna. Che le dà il coraggio o forse l’incoscienza di tornare sull’Isola dell’Abbandono, dove potrà finalmente comprendere, anziché subire, queste storie e quello che è successo negli ultimi dieci anni.

Accanto alla  complessità della vita, Arianna affronta il dolore della morte, sia intesa come morte fisica sia come morte psicologica, come “non vita” fra i vivi. Quale fra le due esperienze, secondo te, è più drammatica da affrontare?

Sono entrambe esperienze profondamente dolorose…Come scrivo in un altro mio romanzo, “Qualcosa”, “la morte non significa che qualcuno se ne va, ma che tu nel frattempo resti”. E’ vero anche per l’abbandono.

L’idea dell’abbandono è ricorrente anche in altri tuoi romanzi e spesso assume un duplice significato: c’è chi abbandona l’altro ma anche chi abbandona se stesso per costruirsi una nuova identità, spesso migliore. Quanto le due tipologie si intersecano  e quanto esse fanno parte del tuo vissuto?

Fin dal titolo l’abbandono, in questo romanzo, ha questo doppio significato…E non è detto che lo strazio di venire abbandonati sia più complesso da affrontare della vertigine di abbandonarsi. Senza dubbio per chi, come Arianna, ha un’infanzia segnata da un doloroso abbandono, matura dentro di sé inconsciamente il terrore di abbandonarsi all’altro…

Parliamo un po’ dello “stile Gamberale”, indubbiamente particolare, che ha vissuto un’evoluzione piuttosto importante rispetto agli esordi. Chi sono stati i tuoi “maestri”? Come arriva una scrittrice al suo stile personale?

Sono un autostoppista della cultura, diceva di sé Truman Capote: e vale anche per me. I miei maestri sono stati gli scrittori che ho amato leggere, ma anche quelli che ho avuto la fortuna di incontrare, come Alessandro Piperno o Walter Siti.

E poi sicuramente mi ha aiutata a crescere moltissimo il mio ex marito, Emanuele Trevi. Riguardo lo stile personale, credo che conti moltissimo l’urgenza che avverto di raccontare le mie storie. Ma bisogna anche essere un po’ disturbati…

Ancora una volta le tue parole ci fanno viaggiare oltre le parole…

Grazie di cuore per la tua disponibilità a incontrare noi e i nostri lettori, condividendo sentimenti e emozioni che, come strade al crocevia, si intrecciano con il vissuto di tantissimi esseri umani!

Arrivederci al tuo prossimo romanzo!

                                           Rita Scarpelli