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il mio contributo di articolo culturale-letterario
Il covid-19 e la socialità
L’animale sociale
Fu un pastore dell’Arcadia a dire che l’uomo è un animale sociale in quanto tende ad aggregarsi con altri animali e a costituirsi in branco: il pastore e le pecore.
Ma fu Aristotele ad attribuirsi la paternità di ciò che constatò il pastore il quale era persino analfabeta, per cui Aristotele dovette riformulare le frasi e cioè che l’uomo è un animale sociale in quanto tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società.
Se guardiamo l’epidemia non già come contagio in sé, ma come causa che produce un effetto, cosa deduciamo?
Che l’effetto è l’isolamento, il distacco tra l’uomo e i suoi simili. Distacco che l’era informatica, internet, ha contribuito a incrementare in modo esponenziale: perché non è stato solo internet, ma anche la televisione e persino i libri (ma nel modo che qui sarebbe troppo lungo argomentare). Tutti fattori che hanno fatto dell’uomo un uomo solo, un isolato.
Ma il virus Covid 19 oltre a impedire la partecipazione ad eventi, manifestazioni, partite di calcio, eccetera, ha anche inibito le capacità umane che erano tali solo se vi era anche il contatto con il pubblico.
Immaginate Mozart suonare il pianoforte senza un pubblico. Siamo d’accordo, Mozart suonava per ascoltare ciò che componeva. Ma immaginate le sue composizioni eseguite poi da orchestre senza il pubblico.
Immaginate un pianista che suona in un teatro vuoto, che può solo registrare le sue esecuzioni. Provate a immaginarlo. Un calo di prestazione incalcolabile. La musica, tutta la musica classica, non sarebbe più la stessa.
Per cui per concludere, l’epidemia, questa epidemia che ci costringe ad isolarci ancora di più, è solo frutto di un’intelligenza inconscia dell’umanità, un suo voler avere un motivo, che può apparire masochista, per raggiungere l’apoteosi dell’uomo solo.
L’uomo solo di Luigi Pirandello, la musica dell’uomo solo dello scrittore agrigentino proclamata nel bellissimo incipit di Todo Modo di Leonardo Sciascia.
L’articolo uno della Costituzione recita: L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Ma ciò che abbonda non è il lavoro ma la figlia illegittima della socialità, cioè la menzogna: la incontri dappertutto, in ogni luogo, in ogni ritrovo, mentre sei in coda a fare la fila, dal parrucchiere, al bar, al lavoro, ovunque te la propinano gratis senza che tu l’abbia richiesta. È talmente diffusa da farti venire la nausea, il voltastomaco, anche perché spesso è stantia, puzzolente, nauseabonda. A volte la menzogna è accompagnata dal risolino ebete, o dal sarcasmo, quale condimento per renderla più digeribile, ed invece ti fa venire i crampi allo stomaco.
Eppure non la si insegna a scuola, non ci sono libri di testo che ne rammemorano l’esistenza, per cui nasce spontanea come una pianta che non hai seminato, non hai innaffiato, non hai potato, eppure cresce rigogliosa come nei giardini del re.
Ma quanti libri ci sono sulla menzogna? Emeriti psicologi si cimentano in questo settore che offre ampi spazi di discettazione; ma purtroppo il tema preferito di questi volumi è come riconoscere la menzogna dalle microespressioni del volto, del corpo, dal tono della voce. Si vede che i lettori ambiscono a riconoscere la menzogna celata, o malcelata. Ci vuole quindi un manuale di istruzioni per imparare a gestire l’insinuazione della menzogna nei rapporti interpersonale, o quantomeno per non trovarti impreparato quando te la trovi innanzi camuffata da leziosità.
Estratti dal mio libro IO, IL CONSCIO E L’INCONSCIO UNA CONVIVENZA IMBARAZZANTE
Pasquale Faseli su facebook