Storia epidemie e pandemie. Analogie e differenze

La attuale pandemia da SARS-COV-2 non è, come noto, la prima pandemia che la popolazione mondiale ha dovuto affrontare.

Dal punto di vista strettamente storico, il tema ricorrente – e per certi aspetti più interessante – è il parallelismo tra la crisi attuale e le epidemie del passato: dalla cosiddetta Peste Nera del XIV secolo alle terribili epidemie di peste del Seicento, dalla pandemia di colera del XIX secolo alla “spagnola” degli anni 1918-19. Quali sono le analogie e quali le differenze rispetto alla pandemia attuale? Il passato ci può insegnare qualcosa che sia utile per l’oggi?
In un articolo pubblicato sull’edizione online della rivista «Foreign Policy», Harper ha sottolineato che le grandi epidemie sono sempre il risultato di due fattori, casuali il primo e strutturali il secondo. Infatti, il passaggio degli agenti patogeni da una specie all’altra, le mutazioni genetiche che rendono alcuni microrganismi più aggressivi, i contatti tra i diversi gruppi umani, sono casuali. Tuttavia, risultano anche evidenti i nessi strutturali tra la diffusione delle malattie infettive e i diversi livelli di sviluppo in cui viene a trovarsi la società umana.
E questo vale anche per noi oggi. L’imponente aumento della popolazione umana, la globalizzazione e il crescente sfruttamento delle risorse naturali – dalla deforestazione agli allevamenti selvaggi degli animali – hanno enormemente aumentato le possibilità di contatto tra la nostra specie e i suoi potenziali parassiti.
Non solo, ma le strategie adottate per arginare il Covid-19 sembrano avere le loro radici nel passato.
Eugenia Tognotti ci ricorda che fin dal tardo Medioevo, di fronte al dilagare della peste, le città italiane misero in atto un sistema di contenimento, basato essenzialmente su quarantene, cordoni sanitari, lazzaretti e controllo sociale della popolazione a rischio.
Anche nel 1918, ad esempio, “… le scuole furono chiuse, e anche cinema, teatri e luoghi di ritrovo. Gli orari di apertura dei ristoranti furono ridotti. Furono proibite le riunioni pubbliche e anche i funerali e le cerimonie religiose. … Le descrizioni delle città italiane nell’autunno-inverno del 1918, con le strade buie e deserte, illuminate soltanto dalle luci delle farmacie, sono simili alle immagini che la televisione ci trasmette oggi”. Le analogie con le misure restrittive adottate per contrastare la attuale pandemia sono evidenti.
Ma, allo stesso tempo, è necessaria sempre molta cautela quando si fanno questi confronti storici. Come mette in rilievo un articolo del geografo Freddy Vinet, autore di una monografia sulla pandemia spagnola, il contesto di quella crisi, che scoppiò quando era ancora in corso il primo conflitto mondiale, era infatti completamente diverso da quello attuale. L’epidemia giunse inaspettata in una fase storica nella quale gli sforzi della popolazione e dei governi erano ancora concentrati sulla guerra e anche per questo le iniziative messe in campo per contrastare la diffusione della malattia furono deboli e poco efficaci.
Come sottolinea Vinet, “ l’economia di Paesi già duramente colpiti dalla guerra non doveva essere gravata ulteriormente. Le autorità rimandarono ai prefetti o ai Comuni il compito di chiudere teatri, cinema, negozi o sospendere eventi sportivi, qualora necessario. In realtà, le economie dei Paesi colpiti si fermarono per mancanza di personale. Il numero dei malati era tale che le scuole non potevano più funzionare, le fabbriche giravano a rilento e i raccolti erano lasciati in stato di abbandono”.
Quella terribile pandemia provocò, come sappiamo, nel mondo un numero di decessi stimato tra 50 e 100 milioni.
Lo storico Richard J. Evans, intervistato sul «New Yorker», si è concentrato nelle sue ricerche sulla epidemia di colera che colpì Amburgo nel 1892. Amburgo era allora la seconda città dell’Impero tedesco: era una città autonoma, governata da una élite di mercanti che cercò di imporre il silenzio sulla diffusione della malattia, con il timore dei danni che le misure di contenimento dell’epidemia potessero causare ai loro traffici. Impossibile non vederci l’analogia con l’ipotizzata pressione di certi ambienti della Confidustria nei confronti del Governo italiano per alleggerire il lockdown.
Come poi sottolinea Alessandro Pastore, in quello stesso periodo le certificazioni per giustificare gli spostamenti erano molto simili alle certificazioni di oggi, con la sostanziale differenza che, mentre allora i certificati erano rilasciati ad personam da un’autorità civile o ecclesiastica, le nostre sono autocertificazioni.
La ricerca, poi, di capri espiatori, di complotti è un esercizio antico come la storia stessa e non fa eccezione da questo punto di vista l’esercizio della ricerca dei responsabili all’origine del contagio, che rappresenta, pertanto, un altro elemento che sembra accomunare la crisi attuale alle epidemie dei secoli passati. Come ha ricordato, tra gli altri, Simon Shama, al tempo della Peste Nera gli ebrei furono accusati di aver avvelenato i pozzi e di aver diffuso intenzionalmente il morbo; e alla fine dell’Ottocento non era raro che la diffusione del colera, arrivato in Europa dal Bengala, fosse spiegata come il risultato di una vendetta asiatica contro l’imperialismo europeo. Silvana D’Alessio ha raccontato che a Napoli, durante l’epidemia di peste del 1656, si sparse la voce che il morbo fosse stato deliberatamente introdotto da nemici della corona spagnola, Francesi o Portoghesi, che l’avrebbero portato con polveri o unguenti.
Samuel Cohn ci fa sapere delle violente rivolte che scoppiarono nel XIX secolo e agli inizi del XX in occasione delle epidemie di colera, nelle quali furono presi di mira il personale medico e sanitario e i rappresentanti delle autorità governative, accusati di avere inventato un pericolo inesistente e di segregare e far morire i presunti malati negli ospedali.
Arrivando ai nostri giorni, da una parte l’America ha accusato a più riprese la Cina di aver diffuso nel mondo il Coronavirus, dall’altra altri hanno invece ipotizzato che siano stati i militari americani a portare il morbo a Wuhan. Chissà se mai si arriverà a capo di qualcosa.
Infine Yuval Noah Harari apre a una lettura cruciale sulle epidemie, che ci tocca tutti. Dice infatti Harari: “Le decisioni che le persone e i governi prenderanno nelle prossime settimane probabilmente incideranno in profondità sul mondo per anni. Influiranno non solo sui nostri sistemi sanitari ma anche sull’economia, la politica e la cultura. Siamo chiamati a scegliere tra la sorveglianza totalitaria e la responsabilizzazione dei cittadini, tra l’isolamento nazionalista e la solidarietà globale”.
Forse, come ricorda Kyle Harper, “gli shock biologici spesso coincidono con momenti di trasformazione e di mutamento, e qualche volta persino di progresso”.
Trasformazione, mutamento, progresso, dietrologie. Chi lo sa, la storia, in ogni caso, continua a insegnare. A noi il compito di imparare.
Domenico Mecca