Battiti – L’armonia del cambiamento di Giovanni Crisanti . Presentazione e segnalazione libro

Abbiamo il piacere di presentare il libro Battiti, l’armonia del cambiamento di Giovanni Crisanti , edito Scatole Parlanti

Titolo: Battiti

Sottotitolo: L’armonia del cambiamento

Autore: Giovanni Crisanti

Collana: Forme

Data di uscita: 8 giugno 2020

Pagine: 90

Prezzo di copertina: 13,00 euro

Il libro: Battiti, l’armonia del cambiamento
La divisione è oggi il target di una certa comunicazione politica e il metro di scelta per molti elettori.
La classe politica è tra le più odiate, ed è accusata di essere causa principale della crisi occupazionale
e legale che attraversa l’Italia. Il dividi et impera degli antichi romani sembra essere oggi più che mai
attuale nella società civile, fratturata nella scarsa credibilità delle istituzioni e fiducia nel prossimo.
Il testo rappresenta il motivo dell’impegno politico di un ventenne e la visione rispetto ad un radicale
rinnovamento che fuoriesce dagli schemi tradizionali delle proposte politiche, vista la situazione
stantia e poco incline al rinnovamento che stiamo vivendo nel XXI secolo italiano. Il cuore della
discussione, breve, che conduco in questi scritti è nel centrare tre obiettivi: scaldare gli animi di chi
si arrende all’idea che viviamo in un Paese impantanato e non all’altezza del progresso, fornire una
linea guida innovativa per affrontare il cambiamento alle nuove generazioni, ed invitare alla
contemplazione della complessità alla base delle sfide globali che dovremo affrontare se crediamo
in un futuro duraturo e prosperoso. Il tutto conciliato con esperienze personali, fuorvianti, per
ispirare e guidare i lettori: giovani che vogliono intraprendere un impegno civico, e adulti che non
sanno più come interfacciarsi con loro.
La discussione parte con un richiamo molto basilare: le nostre azioni, che siano buone o meno,
hanno un impatto sulla società: tutti facciamo politica. La stessa che accusiamo giornalmente,
semplicemente in spazi di azione e livelli differenti. Spesso non siamo informati a sufficienza rispetto
alla complessità alla base delle relazioni transnazionali che regolano il nostro vivere, ed è un errore
strutturale, perché è lì che si giocano le battaglie del futuro. Mi interrogo quindi sul come si sia
arrivati a costruire delle società interconnesse e basate su principi che giudichiamo morali perché
contenuti nella legge, ma che a qualcuno potrebbero stare stretti. È da lì che invito all’accettazione
di questo tessuto, tramite lo studio della storia ed altri strumenti, per riscattarsi e portare un
cambiamento solido. Tutto ciò non può partire tuttavia da schemi già utilizzati nel passato e che
hanno provato di essere fallaci, quindi provo a fornire una visione alternativa: partire da cruciali
debolezze dell’uomo – che individuo nella discussione – e dal capirne le priorità nell’ambito
comunitario. Una sfida non semplice, ma fondamentale per evitare l’eterno ritorno dell’uguale. Con
una serie di riferimenti a viaggi che ho potuto condurre, tra l’Islanda che sembra essere un altro
mondo e fuori dalla storia, l’esperienza di speaker presso l’università di Harvard e la straordinaria
diversità del Giappone in cui ho speso 6 mesi di studio, invito alla comparazione e alla ricerca di
pratiche pacifiche e valide anche in contesti interculturali, evitando polemiche.
La conclusione è un inizio: si può fare. Il riscatto che attendiamo da troppo tempo lo possiamo
generare, coscienti che non bastino elevati sentimenti e valori, se privi di studio. E che non basti la
conoscenza, se priva di una visione.
Non è utopistico, è necessario.

L’autore

Mi chiamo Giovanni Crisanti, classe ’99, vivo a Roma e studio Global
Governance e Relazioni Internazionali. Parallelamente al mio percorso
universitario, la partecipazione allo scoutismo e la mia passione per il teatro e
la musica mi hanno portato presto scoprire il valore dell’impegno, della
costanza, della solidarietà, dell’impegno civile, della collaborazione e della
responsabilità personale.
Ho fondato con 6 colleghi universitari L’asSociata di Roma, un’organizzazione nata con l’obiettivo di
coinvolgere energie giovanili provenienti dal mondo dell’associazionismo e dell’impegno civile per
costruire proposte concrete per la nostra città da indirizzare a Comune di Roma e Regione Lazio.
Siamo un comitato di oltre 400 ragazze e ragazzi.
Ho accettato a 18 anni la proposta di candidatura di servizio al Consiglio Regionale del Lazio,
ottenendo oltre 1000 preferenze su Roma e provincia. Credo che le opportunità di formazione,
sostegno al lavoro e mobilità siano il cuore dello sviluppo sostenibile e felice, soprattutto per i
giovani. Di questa esperienza ho raccontato in diverse sedi, tra le altre presso la conferenza
“Steering youth away from violence” alla School of Law di Harvard come speaker, nel luglio del 2018.
A luglio mi laureerò in Global Governance, un corso interdisciplinare dell’università di Roma Tor
Vergata che si focalizza sulla politica economica, il management e le relazioni internazionali,
provvedendo ad accrescere la conoscenza e le capacità per comprendere le connessioni
transnazionali alla base della complessità delle grandi sfide globali.
Ho recitato in una compagnia teatrale con cui ho partecipato a spettacoli in teatri di tutta Italia con
attori come Francesco Montanari, Valeria Valeri e Giorgio Albertazzi. Le attività artistiche mi
affascinano perché mi permettono di emozionare e divertire, trasmettere messaggi e far riflettere,
i migliori antidoti per una vita attiva verso la società civile, sé stessi e il mondo.
Qui maggiori informazioni sul mio profilo: https://giovannicrisanti.com
Email: giovanni.crisanti99@gmail.com
Profilo Instagram: https://www.instagram.com/giovannicrisanti/
Il profilo Instagram del libro: https://www.instagram.com/battiti.libro/
Il libro: https://www.scatoleparlanti.it/forme/preordine-battiti/

Sinossi

Chiunque abbia maturato una coscienza sociale si è interrogato almeno una volta sul proprio ruolo
all’interno della società. Spesso queste riflessioni vengono accompagnate da considerazioni sullo
status della politica, che diventa una valvola di sfogo astratta e impalpabile. Questo libro prova a
ribaltare la prospettiva, chiamando in causa la responsabilità di ognuno nella costruzione di una
comunità davvero libera ed equa, nella quale tutti possano contribuire in maniera costruttiva. Il
pantano della disillusione, in quest’ottica, può divenire l’humus alla base di una rinascita
collettiva, un nuovo corso che intervenga metodicamente su più tavoli per garantire una sana
evoluzione.
I Battiti sono la metafora del pulsante entusiasmo del giovane autore di quest’opera, un invito
all’azione contro la sterilità dell’ignavia. Crisanti offre la pro- pria limpida panoramica sulle sfide
dell’attualità; il punto di partenza sono le esperienze personali, la radice di una passione per la
politica che può fungere da input per i coetanei e non.

Estratto dal libro

Tutti facciamo politica: riscoprire la responsabilità civica

Ti do una brutta notizia: tutti facciamo politica.

Un’affermazione che suona pesante in questi ultimi anni, in cui l’associazione mentale e figurativa che suscita questa parola rappresenta perlopiù richiami negativi. Cos’è politica? Se lo chiedessi a giovani e adulti nel nostro Paese, non ti sorprenderesti ad ascoltare risposte associate alla sfera dei valori mafiosi, egoistici, disinteressati al benessere della comunità, incompetenti. Da quando ho coscienza civica e leggo qualche notizia sul web o ascolto un telegiornale, ricordo poche volte in cui il mio umore sia migliorato a seguito dell’apprendimento dei fatti di attualità. La narrazione mediatica proietta un’immagine della classe dirigente e dei risultati socio-economici delle politiche spesso negativa. È il male che fa più notizia. E non vediamo riprese culturali ed economiche notevoli da tempo, nel nostro Paese. Il risultato è che non solo c’è meno fiducia nel sistema Stato e nelle figure che lo conducono, ma si genera anche disinteresse alla Cosa Pubblica dal momento in cui lasciamo vincere il pessimismo. Ragioniamo per avere la meglio nel nostro giardino, perché tutto ciò che è fuori entra in una successione di compromessi e regole restrittive.
Ho avuto la fortuna all’età di sette anni di iniziare una delle esperienze più caratterizzanti della mia personalità e dell’adolescenza: quella dello scoutismo. In un certo senso è lei che devo ringraziare per non essermi piegato allo sguardo limitato dell’egoismo e del disinteresse. E non per la tipica scena da cartone animato del boy scout che aiuta la vecchietta ad attraversare. Ogni estate partivo per due settimane di campo, in location lontane da ogni nucleo cittadino e dal mainstream delle news. Nei primi anni in cui ho partecipato non esisteva ancora lo smartphone, il che rendeva ogni esperienza di singolare unicità. Dopo le lunghe camminate con zaini in spalla, sudore e canti per passare il tempo distraendoci dal carico pesante sulle nostre schiene, arrivavamo nello spazio che ci avrebbe ospitato per le successive giornate. Poi cominciava la costruzione di una microcomunità autosufficiente e autogestita: il portale di accoglienza, le cucine, le sopraelevate sulle quali montavamo le tende per evitare umidità e minacce animali, il fuoco di bivacco per passare le serate al caldo e in divertimento, e l’alzabandiera. Tutte strutture che tiravamo su con le filagne, lunghi tronchi, che legavamo fra loro con i cordini. Successivamente i capi dividevano le mansioni cui ogni ragazzo e ragazza doveva adempire per rendere il posto vivibile e civile, come fare la legna per accendere il fuoco e cucinare, pulire il luogo, lavare le stoviglie, organizzare le attività e i riti religiosi e formali. La responsabilità che ognuno di noi aveva era funzionale all’ottima riuscita dell’esperienza e fondamentale per una buona vivibilità.
L’educazione al vivere in comunità raggiungendo obiettivi comuni, non lasciando nessuno indietro, è stata di grande impatto nella mia crescita adolescenziale. Ricordo che una sera entrai in tenda con le scarpe e nella stanchezza decisi di lasciarle lì per l’intera notte con tanto di calzini: la mattina dopo le ho trovate in cima all’alza bandiera. E ti assicuro che con l’umidità e il gelo della montagna non è stata un’esperienza piacevole. Ma era meritato, avevo sporcato e reso puzzolente l’ambiente in cui dormivo con altri cinque ragazzi. Allo stesso modo non potevo reagire malamente agli scherzi che erano all’ordine del giorno, altrimenti me ne avrebbero fatti ancora di più. La notte andavamo a dormire dopo canti e giochi in armonia con il gruppo, contemplando la bellezza del cielo e del dono unico della natura. La quale non potevi permetterti di non rispettare. Avevamo inoltre un orario-campo spostato di un’ora avanti in modo da guadagnarne una di luce, non essendo dotati di elettricità.
Senza un’educazione che unisse la seria responsabilità verso il gruppo e la comunità con cui condividevo le giornate, la tenacia che eravamo invitati a mantenere anche durante forti temporali – nonostante i quali dovevamo trovare un modo di cucinare all’aperto aiutandoci – e l’armonia, la bellezza, il divertimento di condividere giochi e serate lontano dal caos cittadino, non avrei mai consolidato una responsabilità civica dimostrata con fatti concreti.
Devo ringraziare l’opportunità che lo scoutismo mi ha dato di vedere i risultati del seguire le regole e del lavorare verso un obiettivo.
Lo Stato in effetti non è altro che una comunità come quella di un gruppo scout, solo molto più grande. Se una squadriglia – eravamo divisi in piccoli nuclei da sei-otto persone – aveva il compito di organizzare il fuoco di bivacco serale, con canti e attività, e non lo faceva, tutti ne avrebbero risentito. Se chi si occupava di pulire la latrina dove andavamo a restituire alla Terra i doni di cui ci aveva deliziato non lo faceva, be’, non c’era da sorprendersi se il territorio diventasse simile a un campo minato. Se chi costruiva una sopraelevata lo faceva male, nella notte si crollava giù con tutti i ragazzi dentro. Il contributo del singolo verso il gruppo era contenuto ma funzionale, era responsabilità, era politica.

Un insegnante che spiega la filosofia, la matematica, la storia, le lingue, produce del sapere, educa alla cittadinanza e alla memoria collettiva, influisce sulla società, le sue componenti e quindi il suo funzionamento: fa politica.
Un fioraio che spreca acqua, o uno che incentiva con sconti o con la scelta di semi più economici all’acquisto di verde: fa politica.
Un attore che mette in scena uno spettacolo comico o drammatico con una morale, che fa informazione in tono critico: fa politica.
Un finanziere che investe sulla casa produttrice di computer, di frutta, di prodotti casalinghi, che concede un prestito a una famiglia giovane o non permette di estinguere un mutuo: fa politica.
Un libero professionista che non paga le tasse e droga il sistema con un modus operandi fallace e dannoso per le casse dello Stato: fa politica.

Non hai scuse, fai politica anche tu, qualunque occupazione tu abbia. Non conta che ci pensi o meno, che ne sia consapevole. Ogni tua azione causa una reazione nell’amministrazione della città, del territorio, dello Stato. Non esiste disinteresse qui, semmai lo si può chiamare indifferenza. La stessa di quando al campo scout di notte crollava la sopraelevata sopra cui dormivo con la mia squadriglia, perché avevo fatto i nodi male, tanto non se ne accorge nessuno. La stessa di quando un tuo amico o la tua ragazza stanno male e non te ne curi. La stessa che colpisce un bisognoso di aiuto nel momento in cui nessuno se ne occupa. Il semplice disinteressarsi è ignorare il sistema sul quale si reggono la nostra vita, le nostre abitudini, la spesa, il medico, la luce, il gas, perché piaccia o non piaccia nessuno di noi vive in maniera autosufficiente. In una macchina il motore senza le ruote non serve a nulla e non ha ragione di esistere. Chi guida lo sa bene, e conosce il motivo per cui le gomme debbano essere gonfie in un certo modo, gli specchietti orientati in un altro, il vetro pulito, l’olio ricambiato e la pressione controllata. Come quando guidiamo dobbiamo conoscere il codice della strada, allo stesso modo dobbiamo conoscere il codice della società e della civiltà che abitiamo. Perché qualsiasi cosa facciamo non è indifferente a nessun altro. I latini dicevano ignorantia legis non excusat, l’ignoranza non esula dalla legge. Non esistono “non lo sapevo”, o “non mi interessa” che tengano se ci affidiamo al welfare e agli equilibri che abbiamo costruito negli anni nelle nostre città e nei nostri Paesi.
Informarci diventa necessario e vitale per maturare la consapevolezza maestra: non decidere se fare o meno politica, ma essendo coscienti del fatto dimostrato che la facciamo, occuparcene, guardare alle conseguenze prossime e lontane di ogni nostra azione, affinare le nostre capacità e conoscenze.
“Ma io sto bene senza fare tutto ciò, guadagno bene, faccio il mio”. Lo puoi affermare solo se rispetti le regole al minimo dettaglio. In un campo scout chi adempisse ai propri compiti senza dare un ulteriore contributo, magari aiutando un novizio con chili di legna da sollevare, o semplicemente portando un po’ di sano intrattenimento nei momenti collettivi, era rispettato. Certo, non si può dire che partecipasse con lo spirito adatto all’esperienza, ma non si poteva biasimare. Allo stesso modo nella società: magari non godi della stima morale di qualcuno, ma ti è moralmente concesso di non dare di più di quello che prevede il tuo essere cittadino secondo legge, perché non influenzi negativamente gli equilibri delle formule matematiche chirurgicamente pensate negli anni, per far sì che si viva in armonia, limitando per quanto possibile esternalità negative. Guadagno bene, pago le tasse, rispetto i miei vicini e lontani. Va bene. Perché se non fai la differenziata, crolla un sistema per cui le ripercussioni si subiscono a livello mondiale, non solo nel degrado locale. Perché se guidi senza gonfiare le gomme l’incidente lo fai tu, ma coinvolgi altri innocenti. Perché se non paghi le tasse, gli autobus vengono mantenuti male e vanno a fuoco, le metro non funzionano, gli altri le devono pagare anche per te. Perché se investi in società per azioni che danno vita a fenomeni pericolosi, inquinamento, deforestazione, malessere del personale, moltiplichi il loro danno.
Non hai alibi.
Con i miei amici mi trovo spesso a discutere anche con toni accesi sulla questione, e mi attribuiscono spesso la targhetta del ragazzo pesante che non sa passare del tempo in sana goliardia. Accetto la critica e vado avanti, perché il disinteresse in questo caso non è contemplabile, non più. Non ora che l’intero globo si regge su equilibri transnazionali. Non ora che guidi una macchina i cui ingranaggi provengono da Cina, Germania e il cui petrolio si ricava in Russia, le cui emissioni a loro volta incidono sulla salute dei cittadini prossimi e sull’ecosistema mondiale. Non ora che la maglia che indossi è manufatta in Indonesia e le banane che mangi provengono dal Costa Rica.
Quello che ho imparato da ragazzino nel momento in cui dovevo interfacciarmi con un gruppo di coetanei nell’ambito di una comunità autogestita, è che bisogna essere coscienti di ogni singola interazione che abbiamo durante la giornata, e capire dove possiamo danneggiare anche in minima parte il benessere altrui, che è, di ritorno, lo stesso della comunità. Lo diceva Adam Smith nel Settecento: chi prospera – seguendo le regole – anche non sapendolo, porta benefici all’intera società.
Individua ogni Paese da cui provengono gli oggetti con cui ti interfacci, la destinazione delle tasse che paghi. Rispetta il ruolo che giochi nell’equazione dell’equilibrio sostenibile mondiale che sei chiamato in dovere a compiere.
Allora potrai lamentarti di ciò che non va e provare a cambiarlo. E sì, dobbiamo lottare anche in minima parte per eliminare le regole ingiuste. È complesso, ma le forme di partecipazione civica sono molteplici, e ne possiamo essere parte attiva. Non conoscere i meccanismi della macchina in cui viviamo è un atto criminale. La scuola dovrebbe puntarci di più. E benedetti quei professori che non permettono uno sgarro anche se di semplici normative interne all’istituto. Perché è l’unica educazione che funziona in questo senso. Ne ho avuti, non li ho sopportati all’epoca, ma non smetto mai di ringraziarli ora.
Ama il lavoro che fai, costruisciti una famiglia, sviluppa le tue passioni. L’importante è che il tuo lavoro, la tua famiglia, le tue pulsioni, ricoprano il primo posto nella scala degli affetti, ma non l’unico in quella dei doveri. Perché lottare per una realizzazione personale a ogni costo, per la salvaguardia della famiglia, “Muoia chiunque, ma non i miei cari”, è romantico, tipico in Italia, e rispettabile, sì, se conciliato con il bene della famiglia mondiale. Altrimenti è mafia. L’affetto, le passioni, sono sacrosante, ma devono incastrarsi con il senso di comunità, sostenibilità e rispetto.
Non è obbligatorio che tu ti iscriva a un partito politico o che ti faccia prendere dalla mania di leggere articoli di attualità a ogni ora, tantomeno che dia inizio a discorsi di politica in ogni situazione conviviale – che ti assicuro, accendono più fuochi che amori, soprattutto tra gli amici. Ma sii consapevole che anche nell’inettitudine e nel non fare, in realtà stai facendo politica. Anche nel proteggere un tuo caro nonostante sia in torto. Male, ma la stai facendo. Sei vittima e complice. Vittima, sì, perché non c’è niente di peggio che causare il male a chi condivide con te le risorse di questo pianeta.

Politica è qualsiasi nostra azione che generi la minima reazione al di fuori della nostra casa. Politica è la più nobile delle arti perché non cambia solo le persone e i loro sentimenti, azioni e desideri, ma anche le condizioni e le regole nelle quali si gioca.
Per questo faccio politica, perché l’arte, la musica, le passioni, la natura, l’amore, possono essere ancora più belli se vissuti con serenità. Quella serenità che solo una società sostenibile può dare. Quella serenità che parte da uno stato dell’uomo saggio, per influenzare le leggi e l’assetto statale affinché anche chi è meno sapiente e maturo, possa assaporarla, almeno un po’.

È vero, però, che la politica è associata spesso a un qualcosa di distante, a dinamiche di azienda, a giochi di palazzo. E non tutti hanno la fortuna di partecipare a esperienze che permettono di testare che il cambiamento minimo si può apportare a livello locale anche con poco sforzo. Leggendo d’attualità, ci sembra che la classe politica sia ferma, che non rinnovi, che lo Stato non risponda alle necessità e alle sfide più cruciali. Quelle che ci riguardano direttamente.
È questo il pantano da cui partirò per dimostrarti che in realtà è la più sana delle cause per contribuire al progresso.

Pubblicato da Elisa Santucci

Sono Elisa Santucci, fondatrice ed amministratrice dall'8 luglio 2016 . Il blog nasce dalla mia passione per i libri da sempre, dalla voglia di parlarne e fare rete culturale, perché io penso che il web, i blog, i social si possono usare in tanti modi, io ho scelto di creare un'oasi culturale. io sono pienamente convinta che leggere ci insegna a pensare e a essere liberi. "Leggere regala un pensiero libero come un volo di farfalle, un’anima con i colori dell’arcobaleno , forza e creatività" è il mio motto. Editor freelance, correttore di bozze, grafica. Servizi editoriali .

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