L’infinito rappresenta per l’uomo l’intangibile.

Il dono di Lara Michelotti

L’infinito rappresenta per l’uomo l’intangibile e questo gli provoca paura.

Sin dalla notte dei tempi, quando nell’homo sapiens scaturì la consapevolezza, distinguendolo dagli altri esseri viventi della Terra, l’infinito suscitò curiosità e cominciò a interrogarsi, cercando di capire l’entità dell’immenso, oltre al quale c’era altro immenso. E mentre si accingeva a costruire la sua materialità, l’uomo capì che questa non era sufficiente per le sue domande, in quando ovunque trovava limiti. Ma oltre i limiti, cosa c’era?
Per questo, l’uomo si affidò alla trascendenza, prima ancora di scoprire la scienza.
Nei graffiti preistorici, troviamo scene di paura, perché la paura è stata la prima emozione che ha pervaso l’uomo. Ma troviamo anche scene sacre, in cui l’uomo interrogava il suo spirito e si rivolgeva a entità a lui superiori che gli dessero risposte a quanto lui non riusciva a capire. Così nacquero le religioni, che fondate sul credo, diedero all’uomo risposte al suo dilemma dell’infinito.
La religione così ha rassicurato l’uomo dalle sue paure, consentendogli di attuarsi su quanto gli offriva l’intelletto.
La rappresentazione religiosa dell’essere superiore all’uomo, onnipotente e onnisciente, ha fatto si che tutto ciò che non fosse comprensibile, perché sommo, fosse prerogativa appunto di quell’essere, Dio, che si indentifica nel concetto stesso di infinito.
Ed è questa una accezione trasversale di tutte le religioni, politeiste o monoteiste, passate e presenti.
E mentre i greci rimettevano il loro spirito agli dei dell’Olimpo, nel Cristianesimo lo spirito è stato rimesso nelle mani di Dio, così è nell’Islam e nell’Induismo, solo per citare alcune delle religioni contemporanee.
Tuttavia ci furono uomini che non vollero affidarsi ciecamente a un dio, perché ritenevano che tramite il pensiero, l’uomo potesse ottenere le risposte ai suoi interrogativi esistenziali; così in Grecia nacque la Filosofia, volta alla ricerca dell’episteme, la verità, attraverso la consapevolezza.
Quindi ci fu una vera rivoluzione nella Grecia antica, che sconfessò un pensiero unicamente legato agli dei, in quanto i pensatori, a partire da Socrate, iniziarono a capire che l’uomo, attraverso il suo pensiero, potesse raggiungere un credo vero, non riposto nelle mani di esseri superiori, intangibili, che mai si erano svelati all’uomo e, per questo, frutto solo di una trascendentale leggenda.
Socrate affermò di essere consapevole di non sapere. “Io so di non sapere” disse ai suoi discepoli. Questa è la base della consapevolezza filosofica, in cui l’uomo che ricerca la verità sa di non saperla. Per questo Socrate affermò che l’uomo doveva accettare quel “tutto” più grande di lui e di non provare verso quel “tutto” paura, perché l’uomo stesso era inserito in quel cosmo e il cosmo non era deleterio per l’uomo.
Quindi Socrate, sul concetto di infinito, scaccia la paura, cioè l’elemento che più attanaglia l’uomo, perché ritiene che il pensiero abbia una potenza tale da sconfiggere le emozioni terrene, inducendo a vivere con serenità per ciò che è sensibile, concreto. L’infinito così appartiene all’uomo stesso, fa parte della sua interiorità e per questo non deve suscitare paura.
E Nietzsche, millenni dopo, riprende il pensiero di Socrate. Nel suo Ecce Homo afferma che tutto scaturisce dell’interiorità e che l’uomo è solo guardato da se stesso; nessun’altro può guardare l’uomo e condizionare le sue scelte, perché egli è padrone assoluto del proprio pensiero ed è lui stesso a decidere se l’infinito può o meno provocargli paura. È il libero arbitrio, l’infinito può far paura a tutti e a nessuno, sempre che questo possa considerarsi solo esterno all’uomo e in questo, Nietzsche si inspira a Voltaire e a Epicuro. Voltaire per il libero arbitrio, concetto base dell’Illuminismo, volto a concedere la più assoluta libertà all’uomo. Epicuro, invece, per il concetto di infinito, che stravolse, in parte, sia il pensiero di Socrate, sia il pensiero di Platone, indiscusso padre del concetto di “Idea”.
Epicuro afferma che l’infinito è dentro l’uomo. Quindi anche l’infinito è circoscritto e non è vuoto. Quindi la vacuità dell’infinito non esiste, perché ciò che circonda l’uomo può essere solo sostanza, come peraltro afferma Cartesio, con la sua rigidità che ammette solo un cosmo (ordine) tangibile e quindi di sostanza.
Per Epicuro l’infinito è parte essenziale del desiderio dell’uomo: “il desiderio determina un piacere infinito e, per questo, l’infinito appartiene all’uomo” e ancora: “il piacere provoca felicità è questa non può avere limiti”.
Ergo: l’infinito è quindi contenuto nell’interiorità dell’uomo, ne rappresenta la felicità, perciò egli non può fargli paura.