LA SOCIALITA’ È VITA.

Amicizia di Lara Michelotti

È inconfutabile che l’esperienza del lock-down ci abbia messo a dura prova, quando una sera di primavera, mentre appunto c’era il risveglio della natura e di noi stessi, quando il sole s’accendeva dopo i brividi dell’inverno, ci trovammo come fossimo improvvisamente rinchiusi in una cella, costretti a guardare il mondo dalla nostra finestra di casa e tramite gli schermi dei nostri computer e della tv.
È stato un trauma, per tutti, ma non perché, in fondo, non abbiamo potuto respirare l’aria fresca della nostra madre Terra liberamente o altrettanto liberamente muoverci nell’ambiente esterno, no, ci è mancato qualcosa di cui l’uomo ha estremamente bisogno, così importante che Abraham Maslow lo inserì nella sua piramide: la socialità. Ma non parlo della preclusione, che non c’è stata, di “connettersi” con gli altri, questo è stato possibile grazie alle tecnologie che nella nostra epoca l’uomo ha realizzato e diffuso.
Tuttavia ciò non è bastato.
A cosa voglio arrivare, mi chiederete, se comunque, in questo periodo, le nostre relazioni con gli altri non sono state precluse? Torno a Maslow, alla sua piramide ed entro in me stesso, in voi stessi, pensando ai nostri sensi che ci consentono di avere la consapevolezza del mondo che ci circonda; poi guardo cosa sta accadendo ora che possiamo di nuovo liberamente uscire di casa, vedere, toccare il mondo reale, dopo aver vissuto un periodo di virtualità.
Qual è la chiave di questo enigma?
Riflettete, fermatevi un attimo, magari mentre respirate quell’aria fresca ritrovata, chiudendo gli occhi ed esplorando la vostra mente, lo yoga aiuta molto in questo, ve lo consiglio. Se non ci siete riusciti vi aiuto io, con tutta la modestia dovuta e vi faccio un esempio, che sicuramente avete vissuto uscendo di casa.
Ieri, in città, camminando per le vie, ho visto quelle “aggregazioni” tanto temute, ancora peraltro vietate, ma non discuto le disposizioni di legge, il dramma del coronavirus non è finito ed è ancora più che mai necessario non abbassare la guardia; ma quelle “aggregazioni” sono la chiave dell’enigma, l’espressione di quel bisogno irrinunciabile che tutti noi abbiamo: il contatto fisico con gli altri.
Io ti vedo, ti ascolto, vedo il riflesso dei tuoi occhi su di me, sento il tuo odore e tu fai altrettanto, ci abbracciamo, ci stringiamo la mano; tu mi dai una pacca sulla spalla, mi baci, mi accarezzi: tutti gesti che fanno parte di quella comunicazione umana che fa parte del tangibile, quel mondo sensibile in cui siamo immersi. E di tutto ciò ne abbiamo bisogno, ne abbiamo bisogno da sempre e nessuna tecnologia potrà mai sostituire questa fisicità delle nostre relazioni con gli altri, perché la vita, senza questa comunicazione, è fredda, gelida, innaturale, impossibile. E come la metafisica fa parte dell’uomo, con quel mistero dell’astratto che è dentro e fuori di noi, la dimensione del reale è elemento imprescindibile e tutto è assolutamente indispensabile, perché anima e corpo sono una cosa sola.
I sociologi mi correggano se sbaglio, ma credo che questa dura prova alla quale siamo stati sottoposti abbia dimostrato quanto la tecnologia non possa essere sufficiente nelle relazioni sociali, un sostanziale fallimento dimostrante che la potenza della natura, a cui apparteniamo, ha vinto un’altra volta, confutando l’idea dell’uomo di dominarla con la sua intelligenza. Inoltre, questa prova ci ha fatto comprendere quanto siano importanti taluni valori della nostra vita, del mondo concreto nel quale viviamo, che avevamo sempre dato per scontati, senza riconoscere la nostra innata fragilità umana, accecati dalla nostra superbia.
Perciò tutti noi avvertiamo la necessità di incontrare gli altri, sia nella vita privata, sia nella vita relazionale esterna.
Noi l’amico vogliamo vederlo, “WhatsApp”, i social, possono mantenerci in contatto con lui, ma una parola sbagliata, magari scritta ingenuamente può scatenare l’equivoco. Allora magari gli telefoniamo, perché vogliamo sentire la sua voce per chiarirci, ma talvolta neanche ciò è sufficiente; allora bisogna incontrarlo, perché solo quando lo vedremo potremo risolvere quell’equivoco, perché la comunicazione non è solo parola, scritta o verbale, c’è di più: il nostro corpo comunica con i nostri modi fare, i nostri gesti, solo così riusciremo a capire l’altro e noi stessi. Ma non vogliamo vederci solo per chiarirci, noi avvertiamo il bisogno di condividere il nostro tempo con chi abbiamo intrecciato una relazione, di qualunque genere essa sia. Per questo degli amici si incontrano in un bar, dove ordinano un aperitivo, brindano, ridono, si abbracciano, solo in questo momento conviviale il gruppo avrà avuto la sua massima espressione: il simulacro dello stare insieme. È la socialità piena, l’unica, imprescindibile. E che dire di chi si ama. Gli amori lontani sono quelli più sofferti, nessuna comunicazione a distanza potrà mai sostituire l’intima essenza del rapporto d’amore.
Ma la socialità ha confini ancora più vasti, perché abbiamo la capacità di intrecciare relazioni nell’immediato, con un estraneo, e comunicare con una parola o con un gesto con lui. Una carezza a una persona sconosciuta che soffre è un atto d’amore verso lei, perché si sentirà amata, perché la socialità è amore.
Vecchi, giovani, parenti, colleghi di lavoro, sacerdoti, artisti, politici (ma lista è infinita) hanno sofferto, abbiamo tutti sofferto il lock-down che ci precludeva l’incontro fisico, la vera socialità.
E la teledidattica? Affascinante, non c’è dubbio, a parte le difficoltà tecniche che inevitabilmente ci sono state (e che hanno fatto capire quanta strada ci sia ancora da percorrere anche in questo campo); ma docenti e alunni, di tutti gli ordini e gradi, hanno compreso, con questa esperienza, quando sia importante il “luogo” scuola, perché l’incontro quotidiano, l’aggregazione sociale sono fondamentali ed educativi tanto quanto è l’imparare. A scuola si conosce l’amicizia e la solidarietà, per esempio, perché i valori fanno parte della scuola. E i bambini, nella loro innocenza, hanno detto a genitori e insegnanti: “voglio tornare a scuola!”.
Nulla potrà mai sostituire l’incontro con la madre lontana: la fatica del viaggio sarà sempre ricompensata.
Nulla potrà mai sostituire il quotidiano rapporto de visu con i colleghi di lavoro, perché il gruppo, lo staff, la squadra, chiamatelo come volete, è forza!
Guai se tutto fosse in “remoto”, vivremmo un mondo di solitudine, davanti a un freddo schermo; un mondo innaturale, freddo asettico, invivibile. Per fortuna, in questo caso, siamo guidati dall’istinto coadiuvati dalla ragione che ci rende consapevoli.
La modernità, il nostro progresso non potranno mai eliminare i fondamentali assiomi dell’umanità.

Ve lo immaginate Socrate filosofare con i suoi discepoli in videoconferenza invece che nel suo giardino? Io no, non so voi…

Giovanni Margarone