Il 12 Aprile noi cristiani festeggeremo, come accade da qualche millennio a questa parte, la Domenica di Pasqua. Per l’occasione indosseremo abiti colorati, andremo in Chiesa (proprio tutti?), cucineremo l’agnello, il coniglietto pasquale donerà uova di cioccolato ai piccoli e ai meno piccoli, mangeremo la colomba, addobberemo casa con fiori freschi e profumati … tutto questo per celebrare la risurrezione di Gesù Cristo, crocefisso il venerdì precedente e tornato in vita nel settimo giorno. Ogni cristiano che si rispetti, ovviamente, santifica la Pasqua almeno quanto il Natale e, vista la sua peculiarità, è sicuro delle sue origini cattoliche. È davvero così? La Pasqua è una festa nata, cresciuta e pasciuta in seno alla Chiesa? Io non ci metterei la mano sul fuoco e, a proposito di mani, la alzi chi ha mai sentito parlare di Oestara. Nessuno? Bene, bene, allora sturatevi le orecchie, ho una storia da raccontarvi.
Qualche millennio fa, nelle lande fredde del Nord, viveva una popolazione assai particolare, della quale vi ho già parlato: i Celti. I celti si distinguevano dagli altri sotto molte forme, le donne avevano gli stessi diritti degli uomini, tant’è che potevano diventare anche druidi, sacerdoti, vietavano la scrittura e, a causa di ciò, molte loro usanze non sono giunte fino a noi. Per loro l’anno era come una ruota con otto raggi, ad ogni raggio equivaleva un Sabbat. Uno di questi era Oestara, cadeva in concomitanza con il solstizio di primavera, il 21 marzo. Questo Sabbat era dedicato alla dea Eostre, divinità dei fiori e della primavera, dal cui nome deriva il termine inglese Easter, che vuol dire, appunto, Pasqua. Quali erano i simboli di Oestara? Beh, i fiori, il coniglio, le uova … vi ricorda qualcosa? Le uova rappresentavano la rinascita, non quella di Gesù ma quella della natura dopo il lungo periodo invernale, il cesto pieno di uova era il simbolo del ventre femminile, e il coniglio, date alcune sue peculiarità specifiche che non sto qui ad elencarvi (non faccio la zoologa) rappresentava la fertilità. Di Oestara, a causa di quella strana allergia all’inchiostro di cui soffrivano i celti, non sappiamo moltissimo ma sappiamo ciò che basta: essa esisteva da migliaia di anni, molto prima che il Cristianesimo prendesse piede, infatti fu solo nel 325 d.C. che la Chiesa stabilì che la Pasqua si sarebbe festeggiata il primo plenilunio dopo l’equinozio di Primavera (un calcolo non proprio molto cattolico a dire il vero, sembra più effettuato da un astrologo), del resto non era mica la prima volta che, per evangelizzare altri popoli, i cattolici cristianizzavano feste pagane? Era già successo con Yule, ricordate?
A causa della tradizione orale, fino al 1800 si erano perse tutte le tracce di questa festa, furono i celeberrimi fratelli Grimm a riportarla in auge, dichiarando di averne trovato traccia nella tradizione orale tedesca. Una delle leggende riscoperte dai celebri scrittori riguardava un coniglio, il famoso coniglio pasquale. Secondo la leggenda, verso la fine dell’inverno, la dea Eostre trovò un uccello ferito a terra mentre passeggiava nel bosco. Compassionevole nei confronti della piccola creatura, la dea decise di trasformarlo in una lepre in modo tale che potesse superare il resto dell’inverno e trovare un rifugio. La trasformazione non fu però completa. Pur avendo preso l’aspetto di una lepre, l’uccellino mantenne la capacità di deporre le uova da lasciare in dono ad Eostre come ringraziamento per aver avuto salva la vita. Ad esser onesta io me l’ero sempre chiesto, che ce fa un coniglio con le uova? Per di più, essendo di cioccolato, e avendo avuto dei roditori in casa, a volte ho rischiato di pensar male! Niente panico, finalmente i celti ci forniscono risposte alle domande più assurde che ci siamo posti durante la nostra vita. Scherzi a parte, religione a parte, è giusto conoscere le origini di feste, usanze, celebrazioni, credenze che abbiamo sempre dato per scontato. Sapere che la Pasqua sorge dalle ceneri di una arcana ricorrenza pagana non sminuisce la fede in una determinata religione ma, anzi, ci fa sentire soltanto più uniti al nostro passato, un passato comune a tutti i popoli perché, una volta, tantissimi eoni fa, l’umanità era una, senza distinzioni.
Raffaella Iannece Bonora