C’è una categoria espressiva nella quale, a mio avviso, le donne non hanno bisogno di quote rosa: quello dell’ironia.
In tale ambito se una donna è una cosiddetta “attrice comica”, attraverso l’ironia si colloca palesemente al di sopra dei colleghi maschi i quali, se pure ci offrono sketch divertenti, non penso che siano capaci di raggiungere gli standard femminili.
Credo che ciò accada innanzitutto perché la comicità maschile non riesce mai, per quanto intelligente possa essere, a mantenersi scevra da contenuti a sfondo sessuale o comunque a doppio senso.
Ma anche perché l’ironia è parte del DNA femminile, anche se spesso viene occultata nella opacità della vita quotidiana per la maggior parte delle donne.
Eppure la comicità femminile per tanti anni è stata relegata ad un ruolo di secondo piano rispetto a quella maschile, in perfetta sinergia con la concezione della minore importanza, in generale, che la donna ha avuto rispetto all’uomo.
Un esempio eclatante? Quello di Lella Fabrizi, l’indimenticabile “sora Lella”, rimasta sempre un passo indietro rispetto alla fama di Aldo Fabrizi.
Nel corso dei ultimi decenni, di pari passo con il maggiore riconoscimento della specificità del contributo femminile in tutti gli ambiti artistici, si è assistito a una incredibile fioritura di attrici comico-satiriche che hanno saputo costruire personaggi davvero singolari.
E oltre a affermarsi in tale ruolo, esse si sono dimostrate straordinariamente versatili, mettendosi alla prova sul piccolo e grande schermo e perfino con piéce e monologhi teatrali.
Ma non solo! Molte di loro hanno anche pubblicato piacevolissimi libri, dando prova che l’ironia è un passepartout per comunicare a 360 gradi, indipendente dallo strumento che si utilizza per veicolarla.
Fra le attrici che si sono avventurate, con risultati molto lusinghieri, nel mondo della scrittura, me ne vengono in mente tre, forse le più originali: Anna Maria Barbera, l’effervescente a “Sconsolata” di Zelig, la poliedrica Lella Costa, attrice e doppiatrice, e la sempre discussa Luciana Littizzetto.
Numerose le performances comico-letterarie alle quali esse hanno dato vita e per ognuna di loro ve ne è una in particolare che rappresenta, secondo il mio parere, quanto la capacità tutta femminile di trasformare la comicità in parola scritta possa estrinsecarsi in una sperimentazione molto interessante: “…Sono stata spiegata” della Barbera, “La sindome di Geltrude” di Lella Costa e “L’educazione delle fanciulle”,scritto a due mani dalla Littizzetto e dall’attrice comica per eccellenza, Franca Valeri.
“A vivere certi giorni è facilissimo. Altri imbossipile. Noi del Nort poi, siccole ke siamo più in alto, per ki come me viene da giù, ti devi sembre allungare per arrivare a quaccosa e siccome ke cè anghe ki si allarga, avvolte mi senti skiacciare”, scrive Anna Maria Barbera, nel suo torinese del sud.
Le sue parole, pur senza lo strumento della recitazione, riescono a far risuonare dentro di noi, attraverso un linguaggio tanto originale quanto ironico ma in modo decisamente chiaro, l’atavico disagio delle popolazioni del sud trapiantate al nord e, in senso più ampio, la difficoltà di ogni popolo migrante ad ambientarsi nel paese dove va a vivere.
“«Come fa a conciliare il lavoro e la famiglia?» Domanda squisitamente femminile: gli uomini non potrebbero mai formularla, dal momento che ignorano a cosa si riferisca. Unica risposta possibile: «E chi ha detto che ci riesco?» I bilanci familiari hanno scadenze molto, molto lunghe. Vivo nel terrore che, in un imprecisato futuro, una delle mie figlie (….) scriva una di quelle biografie terribili e spietate, sul genere della figlia d Joan Craword, “Mammina mia”.Un Incubo”, leggiamo nella “Sindrome di Geltrude” di Lella Costa.
Un ritmo cadenzato, che ricorda fortemente la recitazione teatrale ma non supportato da essa, viene sapientemente utilizzato dall’attrice/doppiatrice per toccare temi importanti quali i luoghi comuni, legati agli stereotipi di genere, e la complicatezza intrinseca delle relazioni fra genitori e figli: la parola scritta, diventa dunque, attraverso lo strumento dell’ironia, veicolo di riflessione fissato sulla carta.
“Ma la vera e unica domanda è: a che cosa servono gli uomini? Difficile dirlo. Soprattutto oggi. Proprio oggi.(….) A spostarti i vasi, d’inverno, quando devi metter dentro le piante, perché se no gelano. A portare l’acqua in casa se ci sono tante scale da fare. E poi a dirti:« Ma no, tanto non è importante. Non ti fare troppi problemi». Perché loro non hanno mai l’idea che sia una cosa grave. Poi magari è una cosa spaventosa. Terribile. Ma per loro no, non è niente. Aiuta. Certo, questo quando stai male tu. Poi quando stan male loro è la fine. L’Apocalisse. Gli ultimi giorni dell’umanità”, scrive Luciana Littizzetto, nella sua conversazione con Franca Valeri, “L’educazione delle fanciulle”.
Il tocco pungente dell’ironia della “Lucianina” nazionale si veste, attraverso la scrittura, di un garbo inconsueto per la sua modalità recitativa, facendo apparire, per certi aspetti, addirittura più piacevole la lettura che l’ascolto dal vivo e mettendo in evidenza come gli universi maschili e femminili siano naturalmente incapaci di viaggiare sulle stesse corde.
Credo che sia lecita, a questo punto, la domanda che ogni lettore probabilmente si pone : -C’era bisogno di altre scrittrici, che fanno già le attrici comiche?
Sarebbe facile rispondere che, per loro, è un altro introito e che esso non guasta assolutamente ma se questa spiegazione è sicuramente valida, la legge di mercato insegna che se c’è una domanda, ovvero se questi libri vengono venduti, deve esserci una motivazione.
Se si esamina il circuito della comicità dei nostri giorni vediamo che, a differenza di come accadeva in passato, la comicità contemporanea trova la sua prima dimora in TV, passa per il cinema e poi arriva a teatro: tale percorso nasce, come ha giustamente spiegato Roberto Costa, Direttore di Teatro Garage, in una sua intervista sul Magazine “Porto antico di Genova” «perché sia il cinema che il teatro sono “sudditi” della televisione».
La comicità femminile però presenta un elemento particolare che la differenzia rispetto a quella maschile: è una comicità che oltre a far sorridere fa anche riflettere, è un modo per parlare alle persone della vita più che dei fatti.
E poiché la recitazione è uno strumento molto veloce di comunicazione, quasi istantaneo, verosimilmente è anche difficile poterne trattenere i messaggi contenutistici che intende proporre.
Attraverso i loro libri, che altro non sono che la trasposizione su carta dei contenuti delle loro gag, le attrici comiche offrono un prodotto che, oltre a far divertire, diventa uno strumento per andare oltre l’ironia e riflettere sulle tante problematiche della società contemporanea.
Perché l’ironia è una cosa seria e attraverso essa si può parlare di cose molto serie, con leggerezza ma mai in modo banale.
Forse è proprio questo il motivo per il quale, in realtà, i loro libri incontrano l’interesse del pubblico.
E in quanto parola scritta essi non sono, in definitiva, sudditi di nessun altro ambito della comunicazione.
Rita Scarpelli