Il Castello Murat: maniero aragonese, prigionia del Re di Napoli

La storia del Castello di Pizzo Calabro, noto come Castello Murat, costruito nella seconda metà del XV secolo,  da Ferdinando I di Napoli,  è strettamente connessa alla morte di Gioacchino Murat che qui venne imprigionato e poi fucilato il 13 ottobre del 1815.

Pizzo Calabro è un comune di poco meno di diecimila abitanti, in provincia di Vibo Valentia, su un promontorio del Golfo di S. Eufemia a picco sul Mar Tirreno.  

Gioacchino Murat era un generale francese, divenuto Re di Napoli e delle Due Sicilie col nome di Gioacchino Napoleone che, di quest’ultimo divenne cognato dopo essersi unito in matrimonio con Carolina Bonaparte, sorella minore dell’Imperatore.

Murat, partì da Ajaccio due settimane prima di essere ucciso, con il chiaro intento di riconquistare il Regno di Napoli ma nella giornata del 08 ottobre del 1815,una terribile tempesta costrinse lui e i suoi uomini a sbarcare nel porto di Pizzo Calabro. Qui, tradito dal capo battaglione, venne intercettato dalla gendarmeria borbonica, arrestato e rinchiuso nelle carceri del Castello.

Ferdinando I che a seguito della Restaurazione, ovvero quel movimento nato per contrastare le idee della Rivoluzione Francese che gli eserciti napoleonici avevano diffuso in tutta Europa, era divenuto Re delle Due Sicilie, diede ordine di applicare la sentenza di morte che lo stesso Murat aveva promulgato, tant’è che un proverbio napoletano recita : “Gioacchino facett a legge, Gioacchino murett ‘mpiso”. Al condannato fu concessa la possibilità di ricevere la confessione e la comunione religiosa e di scrivere una lettera a moglie e figli.

Non solo le sentenze di condanna a morte, Murat introdusse nel Regno delle Due Sicilie il 01 gennaio del 1809  una serie di riforme contenute nel cosiddetto Codice Napoleonico, legalizzando tra l’altro, il divorzio, il matrimonio civile e l’adozione, cosa che non fu gradita naturalmente al clero al quale veniva in tal modo a mancare la possibilità di gestire le politiche familiari.

Davanti al plotone di esecuzione, rifiutando di essere bendato, le sue ultime parole furono “Mirate al petto, non al volto”.  Murat fu sepolto all’interno di una fossa comune nei sotterranei della Chiesa matrice di Pizzo Calabro, la Chiesa di San Giorgio, dove una lapide sul pavimento al centro della navata ne riporta la sepoltura.  La Chiesa di San Giorgio di costruzione barocca presenta un portale in marmo, opera dello scultore Fontana e una statua raffigurante il Cristo, opera del Bernini.

Si narra anche che Murat dopo la fucilazione venne decapitato, la testa offerta al Re  e il corpo gettato in mare. Di certo, la sua morte violenta avvenuta tra le mura del Castello ha dato i natali a credenze popolari e leggende metropolitane che raccontano di agghiaccianti stridori di catene, improvvise apparizioni, fasci di luce che rischiarando l’ambiente lasciano intravedere il fantasma di Murat volteggiante in aria vestito di ermellino, e voci spettrali che proferiscono parole incomprensibili.  Pare anche che per lunghissimo tempo, ogni anno nel giorno dell’anniversario in cui la flotta di Murat venne sorpresa dalla tempesta , si verificasse uno strano fenomeno atmosferico con fortissimi lampi e tuoni che gli abitanti di Pizzo Calabro identificavano come “a tempesta i Gioacchinu” .

Il Castello di Murat di forma quadrangolare si presenta da un lato a picco sul mare e dall’altro è circondato da un profondo fossato. Originariamente vi era la presenza di una torre di avvistamento, detta Torre Maschia, che serviva a contrastare le incursioni saracene durante il periodo angioino e aragonese. Alla Torre Maschia vennero affiancate le costruzioni di un corpo centrale e una torretta di guardia che ne conferirono l’aspetto attuale. Al Castello si accedeva tramite un ponte levatoio situato tra due torrioni mentre oggi l’accesso è consentito tramite un tradizionale ponte in pietra calcarea.

Il Castello, oggi Museo, ripropone all’interno gli ultimi giorni di vita di Murat e dei suoi uomini: la prigionia nelle celle e nei semisotterranei. Al primo piano è possibile osservare la scena del processo e al secondo piano vi è la rappresentazione della confessione religiosa avvenuta con il Canonico Masdea.

All’interno del Castello è anche possibile ammirare una collezione di monete attraverso la quali si effettua un vero e proprio salto indietro nel tempo, tra i vari step storici del’Italia Meridionale, dalla metà del cinquecento alla fine del 1800.  Al primo piano è esposto un busto in marmo di Murat, opera dello scultore francese Jean Jacques Costeaux.  Nella sala d’ingresso vi è l’elmo in marmo di Ferdinando IV di Borbone, Re di Napoli, opera di Antonio Canova.

Le camere dei piani superiori del Castello distrutte dal violento terremoto del 1783, vennero riedificate nel 1790 a spese dell’Amministrazione Ducale.

Luogo suggestivo tanto per la posizione geografica quanto per le sensazioni di rivivere un importante avvenimento storico merita, almeno una volta nella vita, di essere visitato.

Curiosità:

Teresa Anania