L’introspezione in letteratura.

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Leggendo ci si imbatte spesso nei personaggi che osservano se stessi. In un romanzo, lo scrittore vuole così attirare il suo lettore verso l’interiorità psicologica del personaggio. Quindi, tra le vicende narrate, le descrizioni di paesaggi e i dialoghi, si arriva al punto in cui il personaggio parla di se stesso e lo fa più che altro pensando. Questo è un passo fondamentale nei romanzi in cui l’introspezione ne è il punto di forza, perché lo scrittore delinea con precisione e voluta enfasi, talvolta, il carattere del personaggio, evidenziandone i sentimenti, le emozioni, la forza e le debolezze.
Sono miriadi le situazioni in cui i personaggi volgono lo sguardo alla loro interiorità, forse infinite, ed è questo che fa di ogni romanzo un’opera unica. Infinite perché variegato è il pensiero umano, unico per ogni individuo nel quale si miscelano, con dosi sempre differenti, i suoi caratteri psicologici.
Il romanzo introspettivo è stato caro a grandi scrittori come Proust e Kafka.
L’introspezione in letteratura ha origini lontane: Dante, nella sua Divina Commedia, s’interroga vedendo i dannati dell’Inferno, per esempio. Qualche secolo dopo, Leopardi annovererà le sue angosce nei suoi scritti, chiedendosi il perché. Il Romanticismo del Manzoni caratterizza tutte le sue opere dove i personaggi compiono profonde introspezioni, inutile citare che ne I Promessi Sposi Renzo e Lucia si interrogano di continuo nel corso delle loro peripezie a partire dal loro rapporto con Don Abbondio.
Svevo, con la sua Coscienza di Zeno, introduce il romanzo psicologico italiano; infatti è il primo romanzo della letteratura italiana in cui la psicologia s’insinua in ogni pagina e Zeno non si muove con le gambe, ma con la propria testa ovunque, in un’epoca in cui Freud fondava la psicanalisi.
Ma l’introspezione è trasversale, perché non è presente solo in un genere di romanzi, la troviamo spesso anche in altri, perché l’esame interiore è insito nella natura umana.
L’introspezione è un aspetto arduo durante la stesura di un romanzo, in cui lo scrittore anima i personaggi per farne cogliere la loro essenza. Ma il bravo autore va oltre l’introspezione, perché per mezzo di essa vuole far rimbalzare verso il lettore un’indotta riflessione, affinché siano percepiti i significati e i messaggi che tramite il romanzo lo scrittore vuole diffondere. Da qui si trae quanto la letteratura sia un mezzo universale per trasmettere emozioni e sentimenti, valori e significati, è un quindi un formidabile veicolo di comunicazione imperituro nel tempo. E l’introspezione può avere diversi gradi di intensità a seconda che l’autore voglia incentrare la narrazione quasi esclusivamente mediante l’esplorazione del io e dei personaggi e dei loro eventuali alter ego, oppure voglia spaziare descrivendo vicende e ambientazioni, in una sorta di equilibrio che tende più o meno da questa o da quella parte.
Soffermandosi sull’introspezione, citerei Raskòl’nikov, il personaggio principale di Delitto e castigo di Dostoevskij. Il percorso psicologico di Raskòl’nikov tratteggiato magistralmente dal grande scrittore russo è un grande esempio di narrazione introspettiva. La dannazione interiore del personaggio a seguito del suo comportamento criminale lo devasta a tal punto che il suo agire viene permeato dal senso di colpa in modo assoluto. Dostoevskij anima il suo personaggio come se fosse inghiottito da un vortice, tralasciando volutamente descrizioni di ambienti: è il buio che domina Raskòl’nikov, come buia è la sua dannazione. Ma altrettanta intensità, seppur relativa a un contesto completamente differente, la troviamo ne I dolori del giovane Werther di Goethe, un romanzo epistolare e per questo intriso di memoria introspettiva diretta al destinatario delle lettere scritte da Werther. È indubbio che il tenore di questo romanzo goethiano segua le orme del Faust tormentato dal senso della sua esistenza.
L’introspezione è, in buona sostanza, quell’esplorazione della coscienza, che è quel luogo profondo dell’animo umano sede del bene e del male. E il bene e il male sono sempre presenti in letteratura perché sono l’essenza dell’essere. Odio o amore, benevolenza e malevolenza tratteggiano le figure dei personaggi definendo il loro carattere e conferiscono significato alle storie. E se i personaggi sono ben tratteggiati, se riescono a carpire nell’interiorità il lettore in modo che questi possa immaginarli vivi, come fossero dei compagni di viaggio, inducendolo a riflettere sulle loro emozioni e i loro sentimenti, lo scrittore avrà già raggiunto un risultato importante tale da rendere il romanzo un buon libro.

Giovanni Margarone