Avanti, Parla di Lidia Ravera

Avanti, Parla di  Lidia Ravera

Avanti, Parla di Lidia Ravera. Bompiani Editore

“La paura è una forma degenerativa del disagio di stare al mondo. Io questo disagio l’ho sempre provato. Non ho mai trovato il mio posto, perfino nelle foto di scuola, alle elementari, sono la bambina che non guarda verso l’obiettivo del fotografo, ma verso destra, dove non c’è nessuno, spingendo lo sguardo lontano, come cercando una via di fuga. Non lo troverò mai, il mio posto nel mondo. Ormai ne sono certa. Se a contrastare la paura non ci fosse la curiosità non uscirei mai dalla mia tana. da “Avanti, parla”, Lidia Ravera.

In alcuni casi vivo la lettura come un’esperienza multisensoriale: le parole fluiscono verso il mio
cervello, investono la mia vista, che quasi trapassa le pagine del libro, accendono come luci intermittenti
l’udito, facendomi percepire le voci dei personaggi, l’olfatto, avvolgendomi con gli odori delle
ambientazioni, poi il gusto, percependo, con le papille gustative quello che, attraverso il cibo, l’autore
vuole surrealmente rappresentare; infine il tatto, immaginando un contatto fisico con i personaggi,
come se fossi lì, insieme a loro.
E’ esattamente quello che è accaduto leggendo “Avanti, parla” di Lidia Ravera.

Premetto che il titolo, “Avanti, parla”, mi lasciava piuttosto perplessa, forse per la sua perentorietà
intrinseca. Nonostante ciò ho iniziato a leggerlo per due motivi: innanzitutto perché ho sempre
apprezzato moltissimo questa autrice e poi perchè quasi sempre ciò che mi infastidisce colpisce, in
definitiva, corde nevralgiche dell’inconscio che, una volta messe allo scoperto, mi costringono a
interrogarmi e a capire.
E poichè capire è forse una delle poche libertà che ci siano veramente rimaste, a condizione che la si
voglia esercitare, ho affrontato con atteggiamento interlocutorio questa esperienza “psico- letteraria”.
La protagonista di “Avanti, parla”, Giovanna, è una donna un po’ avanti negli anni che appare dalle
prime pagine piuttosto inquietante: vive sola, non si taglia i folti capelli, ormai bianchi, da quaranta
lunghi anni, non ha amici, non ha parenti, non ha una vita o almeno così sembra.
E’ lei stessa, in prima persona, che racconta la sua storia, attraverso lo strumento della scrittura che
adopera con grande conflittualità, come se non ne potesse fare a meno ma le costasse una tremenda,
dolorosa fatica utilizzarlo.
All’improvviso il suo “auto -semilockdown”, se così possiamo chiamarlo, visti i tempi in cui viviamo,
ovvero il suo autoisolamento dal mondo viene interrotto da qualcosa in cui non avrebbe mai
immaginato di imbattersi: l’arrivo di una giovane coppia con due bambini, come vicini di casa.

All’improvviso la vita reale va a bussare alla sua porta, sotto le mentite spoglie di Michele, musicista alla
ricerca del successo ma innamorato perso della sua famiglia, Maria, moglie e madre bambina, convinta
che il mondo sia un grande palcoscenico dove recitare come un’attrice di fiction, Malcom, adolescente
introverso e convinto ambientalista, che cerca di barcamenarsi nelle dinamiche complicate fra genitori
separati ma soprattutto la piccola Malvina, una meraviglia della natura di tre anni che riconosce, sin dal
primo istante, il potenziale affettivo di Giovanna, eleggendola per amore sua “nonna”.
Giovanna, in realtà, una vita l’ha avuta e anche molto intensa, un’esistenza all’insegna di un imperativo
categorico: essere all’altezza delle aspettative, anche tradendole, ma con coerenza. Perfino nel rapporto
col suo corpo, nei confronti del quale già a ventitre anni “aveva imparato a trattarlo come uno strumento di
lavoro, funzionale alla militanza politica che aveva deciso di intraprendere”
.
E per quella vita, per quelle scelte, aveva pagato e continuava a pagare, rinunciando a una esistenza
normale finché una nuova chance le viene improvvisamente offerta dalla chiassosa famiglia della porta
accanto. Ma, per poter godere di quell’inaspettato privilegio, Giovanna è costretta a indossare
pubblicamente la maschera della donna senza storia e senza famiglia, quella che ormai, da quando aveva
scontato la sua pena, non era mai capitato di dover scientemente riutilizzare.
Si è convinta che solo così avrebbe potuto aver l’opportunità di ritornare ad amare ed essere amata, di
poter stringere fra le braccia la piccola Malvina, così desiderosa di essere al centro delle sue attenzioni,
di raccogliere le confidenze del giovanissimo Malcom, condividendo con lui il muto segreto dello
sfinimento che un dolore sopportato per tanti anni può provocare.
Perché “il passato remoto è accogliente, puoi infilarci dentro quello che vuoi, lontano dalla flagranza ogni crimine perde di consistenza, sfuma fino a diventare un ricordo.”
Perché dopo che per “decenni hai lavorato a una forma stabile di infelicità. Solida, perfino elegante. Le sbarre della tua prigione interiore le hai decorate una a una, fino all’enfasi finale È venuto il momento di accettare uno sconto di pena. Di uscire per le strade, mescolarti agli altri. Senza la superbia dei peccatori redenti.”
Quando si sono vissuti ormai molti anni faticosi, si incomincia a pensare a quanto resta piuttosto che a
quel che è stato, soprattutto se qualcosa di bello si presenta dinnanzi a noi.
E si decide, o si tenta di farlo, come Giovanna, di accettare finalmente quel barlume di felicità, con
l’incoscienza di chi si tuffa da uno scoglio senza sapere come sia il fondale.
Ma la vita, per quanto possa essere ripetitiva, raramente è banale e non lo è neppure per la protagonista
di “Avanti, parla”: la vita è un percorso senza itinerario preciso, un viaggio di cui si conosce solo
l’ultima meta, la morte, accidentale o voluta che sia.
E Giovanna lo sa molto bene, perchè la morte l’ha incontrata e frequentata: Giovanna sa che la morte è
un’opzione per modificare il destino degli altri e anche il proprio.
Ma proprio perché la vita ha sempre un senso, il cammino che Giovanna ha percorso, tutte le
estremizzazioni che ha portato avanti, tutto l’amore che ha dato e quello a cui ha rinunciato troveranno infine una loro logica, come pezzi di un puzzle finalmente composto, facendole scegliere definitivamente la vita alla morte.


Mentre leggevo questo romanzo, i telegiornali davano la notizia del processo ai nove militanti della lotta
armata rifugiatisi in Francia e della relativa richiesta di estradizione: inevitabile è stato il confronto fra il
personaggio creato da Lidia Ravera e quello di Marina Petrella, ex brigatista più volte intervistata nel
contesto nei giorni scorsi.
Una domanda si è fatta inevitabilmente strada nella mia testa: in definitiva a cosa ha portato la lotta
armata?
Secondo la Petrella, “Non era fine a se stessa… tante riforme sono state fatte anche grazie a quella
conflittualità che saliva, che costruiva istanze nuove. C’era un modello di trasformazione, il socialismo al
di là degli esempi storici, è solidarietà, fratellanza, condivisione. C’è stato un processo di scontro atroce
per tutti. Per tutti.”

La parola chiave sulla quale soffermarsi credo sia proprio “atroce”: mi sembra, onestamente, un
ossimoro parlare nello stesso contesto di atrocità e di solidarietà, fratellanza e condivisione.
Giovanna, la protagonista di “Avanti, parla” è, a mio avviso, esattamente l’espressione di quanto siano
inconciliabili tali elementi nella vita di un essere umano e la potenza narrativa della Ravera ci regala un
personaggio sulla cui pelle si scorgono con vivida crudezza quante e quanto profonde siano le cicatrici
lasciate da una scelta come quella della militanza armata e quanto sia difficile raggiungere l’oblio,
relativamente alle responsabilità di coloro che ne hanno fatto parte.

CITAZIONE
Ero stata nominata in un’unica sgradevole riga. La mia cattiva fama era riemersa, come un quarto di
nobiltà mediatica, nonostante il tempo trascorso (già allora era parecchio, adesso mi dovrebbe meritare
l’oblio).
Perciò partii subito. Mi rifugiai a Cinisello Balsamo, dove abitavo in trentotto metri quadri con soppalco
dal 1993.
Tornai per la cremazione. Tornai per mettere in vendita l’eredità che avevo per disgrazia ricevuto.
Non volevo dormire nell’appartamento in cui avevo vissuto dall’età di tre anni, da cui ero scappata a
diciannove, l’appartamento che era l’orgoglio di mia madre: sei stanze con vista sul parco del Valentino
e, in lontananza, sul fiume.

Sinossi

Giovanna ha i capelli bianchi, però lunghissimi e folti. Vive in un bell’appartamento che guarda il fiume, nel centro di Roma, ma è un’operaia in pensione. In un tempo in cui tutti inseguono il successo, la popolarità, lo svago lei vive sola, non parla con nessuno, non va mai in vacanza. Le sue giornate si susseguono uguali e attente fra la musica che ascolta per dimenticarsi di se stessa e i romanzi che legge per rispecchiarsi nelle vite degli altri. Non è felice né infelice, è come se vivesse uno sconfinato tempo supplementare dopo una partita che per lei si è chiusa presto, quasi quarant’anni fa, nel secolo scorso, quando per la smania di cambiare il mondo potevi commettere sbagli così gravi da pesare sulla tua coscienza per sempre. Ha pagato il suo debito con la giustizia, Giovanna, ma se hai un’anima come la sua la punizione non basta mai. Un silenzio da penitente, dunque, quello che ha scelto, un silenzio che va in mille pezzi quando nell’appartamento accanto al suo arriva, anzi, irrompe una famiglia di beniamini degli dei: Michele, musicista svagato, Maria, bellissima e sempre un po’ spogliata, Malcolm, tredicenne impegnato a salvare il pianeta, e Malvina, tre anni di pura gioia. Giovanna prima li guarda e li ammira, poi si lascia coinvolgere nella loro vita: bambinaia volontaria, amica grande, presenza silenziosa e generosa. E infine dalla loro vita viene travolta, come succede quando l’amore apre una breccia nelle tue difese e ti ritrovi vulnerabile, nuda. Ma di nuovo viva. Una prima persona asciutta e nervosa, un memoriale che al lettore rivela, pochi indizi alla volta, un quadro finale di sconcertante, dolorosa dolcezza. Lidia Ravera illumina ancora una volta un ritratto di donna alle prese con il tormento della maturità, quando tutto è finalmente chiaro e la resa dei conti, se hai abbastanza coraggio, può trasformarsi in un nuovo, tardivo inizio.

lidia raveraNata a Torino, giornalista e scrittrice, ha raggiunto la notorietà nel 1976 con il suo romanzo d’esordio Porci con le ali, manifesto di una generazione e longseller con tre milioni di copie vendute in quarant’anni (oggi nei Tascabili Bompiani). Ha scritto trenta opere di narrativa (tra cui i tre romanzi Piangi pure, Gli scaduti e L’amore che dura sono nel catalogo Bompiani, come il racconto La somma di due da cui è tratto l’omonimo spettacolo di e con Marina Massironi e Nicoletta Fabbri, diretto da Elisabetta Ratti). Ha lavorato per il cinema, il teatro e la televisione. Dirige la collana di romanzi rosa per ultrasessantenni Terzo tempo per Giunti. Il suo ultimo libro sempre per Bompiani è Tempo con bambina (2020).

Editore: Bompiani
Collana: Letteraria italiana
Anno edizione: 2021
In commercio dal: 21 aprile 2021
Pagine: 352 p., Brossura
EAN: 9788830102897

https://www.giunti.it/catalogo/avanti-parla-9788830102897

Pubblicato da Rita Scarpelli

Sono Rita Scarpelli e vivo a Napoli, una città complessa ma, allo stesso tempo, quasi surreale con i suoi mille volti e le sue molteplici sfaccettature. Anche forse grazie a questa magia, da quando ero bambina ho amato la lettura e la scrittura . Nonostante gli studi in Economia e Commercio mi abbiano condotta verso altri saperi e altre esperienze professionali, il mio mondo interiore è sempre stato popolato dai personaggi e dalle storie dei libri che leggevo e ancora oggi credo fortemente che leggere sia un’esperienza meravigliosa. Parafrasando Umberto Eco, “Chi non legge avrà vissuto una sola vita, la propria, mentre chi legge avrà vissuto 5000 anni…perché la lettura è un’immortalità all’indietro”. Lo scorso anno ho vissuto l’esperienza incredibile di pubblicare il mio romanzo di esordio “ E’ PASSATO”, nato dalla sinergia dell’ amore per la scrittura con la mia seconda grande passione che è la psicologia. E poiché non c’è niente di più bello di condividere quello che ama con gli altri, eccomi qui insieme a voi!

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