La contessa sanguinaria che faceva il bagno nel sangue delle vergini.
Tra storia e leggenda
I vampiri e il relativo concetto di vampirismo, è noto a tutti, hanno una tradizione millenaria, risalente addirittura agli antichi greci, ai romani e alla cultura mesopotamica, civiltà pregne di miti legati a spettri e demoni. Si tratta, in generale, di spiriti che rubano vitalità alle vittime attraverso il sangue. Tra le figure più note spicca senza ombra di dubbio quella del Conte Dracula, tratteggiato abilmente dalla penna di Bram Stoker. Ma esiste una figura femminile, probabilmente non a tutti nota, che ha fatto molto parlare di sé. Vissuta a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, passò alla storia, presumibilmente, per aver seviziato e ucciso più di 600 ragazze. Ma cerchiamo di ricostruire la sua vita.
Erzsébet Báthory, conosciuta in Italia anche come Elisabetta Bathory, nacque il 7 agosto 1560 da una nobile famiglia a Nyírbátor, un piccolo villaggio ungherese. In quel periodo l’Ungheria era sconvolta dalla guerra tra gli Amburgo e i turchi ottomani pertanto, la famiglia si trasferì in Transilvania. Tra i suoi congiunti, probabilmente a causa dei ripetuti matrimoni tra consanguinei, si registrarono numerosi casi di schizofrenia, epilessia e altri tipi di disturbi mentali. La stessa contessa, fin da piccola, soffriva di fortissimi mal di testa, accompagnati da crisi convulsive ed epilettiche, dava segni di squilibrio, alternando repentinamente scatti di ira a momenti di straordinaria tranquillità. Si narra di un episodio che la segnò a vita: quando Erzsébet aveva circa sei anni, fu invitato un gruppo di zingari a casa sua per intrattenere la corte. Uno di loro, fu condannato a morte per aver venduto i figli ai turchi. La piccola fanciulla fu attirata dalle grida del povero malcapitato e volle assistere all’esecuzione della condanna: alcuni soldati tagliarono il ventre di un cavallo legato a terra, nel quale fu infilato il condannato che rimase fuori solo con la testa e così fu lasciato morire.
Alla morte di suo padre, a soli undici anni, Erzsébet fu promessa in sposa a Ferencz Nádasdy , di sette anni più grande di lei, anch’egli di famiglia nobile. Il matrimonio fu contratto quattro anni dopo. Erzsébet era particolarmente bella. Aveva lunghi capelli neri, occhi corvini, pelle liscia e candida e labbra carnose e sensuali. Era ossessionata dalla sua bellezza, tanto che amava circondarsi di specchi e pretendeva continue conferme della sua bellezza da parte della servitù e da chiunque la incrociasse. Dopo il matrimonio, la giovanissima sposa si trasferì con il marito nel castello di Čachtice, appartenente alla famiglia di lui. Quello che sarebbe divenuto un giorno il castello degli orrori, un maniero situato tra Piestany e Neustadt an der Waag, nella Repubblica Slovacca. Crudeltà e violenza furono presenze costanti nella vita della contessa. Lo stesso marito veniva chiamato “Cavaliere nero” a causa della ferocia che caratterizzava le sue azioni di guerra. Per passare il tempo quando il marito era lontano da casa, Erzsébet cominciò a far visita alla contessa Karla, sua zia, e a partecipare alle orge da lei organizzate. Nello stesso periodo conobbe Dorothea Szentes, un’esperta di magia nera, che incoraggiò le sue tendenze sadiche. Dorothea, conosciuta con il nome di Dorka, e il suo servo Thorko, le insegnarono i segreti e le pratiche della stregoneria. In una lettera destinata al marito scrisse:
“Ho appreso da Thorko una nuova deliziosa tecnica: prendi una gallina nera e la percuoti a morte con la verga bianca; ne conservi il sangue e ne spalmi un poco sul tuo nemico. Se non hai la possibilità di cospargerlo sul suo corpo, fai in modo di procurarti uno dei suoi capi di vestiario e impregnalo con il sangue.”
La tradizione narra che suo marito amasse torturare i servi e che una delle sue torture preferite fosse quella di cospargere di miele una ragazza nuda e lasciarla legata vicino alle arnie di sua proprietà. Già prima di arrivare agli omicidi, Erzsébet mostrò tutto il suo sadismo nei confronti della servitù. Pare che una sera, una domestica di dodici anni riuscì a fuggire dal castello, ma venne presa e condotta dalla contessa che la costrinse ad entrare in una gabbia, poi spinta contro alcuni paletti appuntiti. In un’altra occasione, in pieno inverno, fece condurre sotto la sua finestra delle ragazze denudate. Ordinò di versare acqua su di loro e le fanciulle morirono per assideramento. Un’altra volta, insieme al marito, fece infilare tra le dita di una serva, che si era dichiarata malata, dei pezzi di carta impregnati di olio ai quali fu poi dato fuoco. I segni della sua follia divenivano sempre più acuti, e le sue serve venivano punite per i loro errori in maniera sempre più dura. Sotto tortura, alcuni testimoni affermarono che, un giorno, dopo aver percosso e ferito una domestica, colarono alcune gocce di sangue sulla mano della contessa tanto da farle ritenere che la sua pelle fosse rinvigorita proprio in quello specifico punto. Chiese perciò delucidazioni agli alchimisti che, pur di compiacerla, si inventarono la leggenda di una giovane donna vergine il cui sangue aveva avuto effetti analoghi sulla pelle raggrinzita di un aristocratico. Erzsébet a quel punto si convinse che fare abluzioni nel sangue di giovani vergini o addirittura berlo se fossero state particolarmente avvenenti, le avrebbe garantito la giovinezza eterna. Si stima che abbia cominciato ad uccidere nel periodo compreso tra il 1585 e il 1610. Pare che il marito e i parenti fossero a conoscenza delle sue sadiche inclinazioni, ma non intervennero. Cominciò a torturare e a uccidere barbaramente giovani contadine, e in seguito, anche figlie della piccola nobiltà. Nel 1609, Erzsébet istituì nel suo castello, un’accademia che aveva, come fine apparente, l’educazione di ragazze provenienti da famiglie agiate. Prese a tradimento, le sue vittime venivano spogliate, incatenate a capo in giù, e quindi seviziate. Le loro gole venivano tagliate e il sangue fluiva, pronto per essere raccolto e usato dalla contessa. Addirittura pare che la nobildonna avesse fatto costruire da un orologiaio un marchingegno chiamato “vergine di ferro”, che aveva la forma di una donna dai lunghissimi capelli biondo argenteo che arrivavano fino quasi ai piedi. Ogni qualvolta una ragazza vi si avvicinava, la vergine di ferro alzava le braccia e stringendola in una morsa mortale la uccideva, trapassandola con coltelli appuntiti che fuoriuscivano dal petto. Pare che alcune volte, però, la contessa non fosse soddisfatta per la morte veloce delle persone che torturava e, quindi, ad alcune di loro le ferite venivano cicatrizzate con ferri roventi per poter così ricominciare nei supplizi. Tra le varie tecniche di tortura, la contessa amava l’utilizzo di spilli o aghi per forare labbra e capezzoli o per infilarli sotto le unghie, usava pinze d’argento per strappare la carne, ferri per la marchiatura, fruste e forbici. Non solo. Sembra che le piacesse anche legare e mordere le malcapitate sulle guance e sui seni, cavando loro il sangue con i denti o ustionare i genitali con la fiamma delle candele. Spesso, dopo aver fatto seppellire le sue vittime, si chiudeva nella sua cappella privata a pregare per le loro anime.
Col tempo, però, molti vennero a conoscenza degli orrori perpetrati nei sotterranei del castello, e decisero di rompere il silenzio. Alle deposizioni rilasciate alle autorità ecclesiastiche del luogo, ad infangare il nome della contessa si aggiunsero anche i molti debiti accumulati per mala gestione. Nel 1610, l’Imperatore del Sacro Romano Impero, Mattia II, a cui erano giunte voci sempre più insistenti della tirannia di Erzsébet, decise di avviare le indagini all’interno del castello. Ciò che fu rinvenuto, fu a dir poco mostruoso. Le pareti dei sotterranei e tutto ciò che era lì presente, era intriso di sangue. Cadaveri e pezzi di questi erano ammassati in angoli bui, circondati da strumenti di torture, corde e gabbie. Nel 1611, la contessa e i suoi fedeli servitori vennero immediatamente mandati a processo e, successivamente, incarcerati. Vi fu inoltre il sospetto, mai confermato, che Erzsébet avesse banchettato con le carni delle ragazze in più di un’occasione, offrendole anche come pietanze alle cene di stato ad altri nobili. Infine, si suppose che torture e orge fossero state praticate in diverse occasioni come celebrazioni, compleanni e addirittura durante il matrimonio di una delle sue figlie. La contessa non poté prendere parte ai due processi ma, sul banco degli imputati, apparvero persone a suo servizio che avevano agito da complici: la nutrice dei figli di Erzsébet, il maggiordomo, la lavandaia del castello e la dama di compagnia. In alcuni casi gli imputati furono sottoposti a torture, in altri confessarono spontaneamente. Alla nutrice e alla dama di compagnia furono strappate le dita, dopodiché vennero arse vive; il maggiordomo fu decapitato e il suo corpo bruciato; la lavandaia, più fortunata, rimase in stato di arresto. La contessa Erzsébet Báthory fu condannata all’ergastolo. Venne murata viva in una stanza del suo castello, con un solo foro attraverso il quale riceveva cibo e bevande. Vi rimase fino al 21 agosto 1614, quando morì, forse di malattia o forse lasciandosi morire di fame.
Per centinaia di anni si è discusso sul numero delle fanciulle decedute tra le mura di Čachtice: ci fu chi sostenne che fossero più di seicento, chi tra le cento e le duecento, ma oggi gli storici più prudenti parlano di circa ottanta ragazze. Sul suo diario la contessa annotò i nomi di 650 ragazze uccise.
Ma c’è un’altra versione, assolutamente contrastante a quanto finora descritto, secondo cui le morti del castello fossero state soltanto chiacchiere e la contessa fosse stata innocente. Si sarebbe trattato di un complotto ordito dal cugino della nobildonna, il conte Thurzo, allo scopo di rovinarla per poter mettere le mani sulla sua immensa fortuna.
Ad ogni modo, è molto probabile che Erzsébet si fosse macchiata di delitti atroci, e, in questo caso, ciò farebbe di lei la peggiore e più prolifica assassina seriale mai esistita.
Fabiana Manna