Grande meraviglia, Viola Ardone

Grande meraviglia, Viola Ardone. Einaudi editore

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“Una vite è avanzata, succede: credi che ogni elemento sia indispensabile e ti accorgi col tempo di poter andare avanti anche senza. Si sopravvive cosí, perdendo pezzi.” 

                                                         Viola Ardone

Credo che sia necessario fare una premessa: io amo la scrittura di Viola Ardone.

Me ne sono innamorata leggendo il suo “Il treno dei bambini”: è stata un’esperienza di una poeticità che pochi romanzi sono stati capaci di farmi provare.

Ecco perché ho aspettato qualche mese prima di comprare e leggere “Grande Meraviglia”, il suo ultimo romanzo: volevo che fosse un viaggio tutto mio, non una gara a chi leggeva e recensiva per primo, come spesso accade fra i blog.

Ho letto “Grande Meraviglia” in un momento in cui la tematica di fondo, la salute mentale, mi interessava particolarmente, per motivi che non sto qui ovviamente a raccontare, e mi è sembrato come se fosse questo romanzo a venire da me piuttosto che io a volerlo leggere.

“Grande Meraviglia” è il titolo, ma anche evidentemente un’esclamazione rivolta al protagonista, Fausto Meraviglia, che in effetti di grande non ha tantissime cose, anzi, è un uomo molto discutibile, a partire dalla personalità narcisistica e autoriferita.

Eppure il cuore pulsante della storia narrata è proprio la sua determinazione a cambiare la realtà dei manicomi, con un approccio spericolatamente audace nell’applicazione della legge Basaglia, a partire da quando, giovane e pieno di ideali, approda nel “Mezzomondo” una struttura psichiatrica dove il passo è ancora quello della vecchia scuola, basato su cure farmacologiche, elettroshock, camicie di forza e segregazioni.

Nel Mezzomondo vive una ragazzina, Elba, cresciuta lì, pur non avendo alcuna patologia, ad eccezione di una specie di fobia dell’esterno, dovuta appunto alla circostanza che quel luogo surreale, popolato sia da persone affette da problemi psichici (ma talvolta anche colpevoli di condanne politiche o sociali), che da personale sanitario piegato alla logica della sedazione di ogni sintomo della malattia, sia per lei “Casa”, il luogo dell’unico grande affetto che è quello per sua madre, la sua Mutti, degente della struttura.

L’incontro fra Elba e il “dottorino” Meraviglia segna una svolta inaspettata per entrambi, sia dal punto di vista individuale che evolutivo: per la giovanissima donna è la progressiva scoperta che anche in un luogo del genere la vita può rifiorire e per Meraviglia la nascita di un progetto salvifico verso quella “non paziente”.

La storia si sviluppa in un lasso di tempo ampio, tempo che trasforma Elba in una donna dotata di nuove, insolite consapevolezze e di un discutibile bagaglio culturale in ambito psicologico e Fausto Meraviglia in un anziano psichiatra in pensione, alle prese con i fallimenti familiari e con l’insoddisfazione tipica di chi ha vissuto esclusivamente per il lavoro e deve, ad un certo punto, accettare il riposo forzato.

Eppure, parafrasando il titolo del film della Cortellesi, “c’è ancora domani” per i due personaggi chiave: un domani assai diverso da quello che il grande Meraviglia aveva progettato per la sua figlia d’elezione, Elba, forse addirittura più amata di quella vera, perché, verosimilmente, costituiva per lui la sfida professionale più stimolante.

E anche per se stesso, omologatosi apparentemente ad un cinismo cronico che però evolverà in modo assai insolito.

Ma non è solo la storia che appassiona e coinvolge in questo romanzo; leggerlo è proprio un piacere per la mente e per il cuore perché si passa da una prosa vivida e graffiante nella descrizione della realtà del manicomio, della crudezza delle patologie psichiatriche e dei tecnicismi delle sintomatologie, dandoci la piena percezione dell’oscura maledizione che avvolge la persona affetta di tali malattie, che crea un muro invisibile fra la vita reale e quella che vive la persona colpita da esse, ad uno stile profondamente poetico per la narrazione del vissuto interiore dei personaggi, che non sono pochi e che prendono sempre maggiore consistenza a mano a mano che la storia si snoda; vissuto che Viola Ardone consegna spesso a  suggestive metafore, impreziosendone la scrittura.

“C’è un marchio per ogni disturbo, capisci? Colavolpe lo sa, e decide se darti la Caramella-rossa o la Caramella-blu, se quel giorno stai bene o stai male, se lasciarti al Mar dei Tranquilli, portarti nella terra delle Agitate o delle Semiagitate, se hai bisogno di stare distesa o alzata, con le cinghie oppure senza, con la scossa oppure no. E, nel caso, chiama Lampadina che ti fa la corrente: piano, pianissimo o forte.”

 “Si può restare vivi anche cosí. Sprofondo nella poltrona e chiudo gli occhi. Per un po’ sento il rumore dei suoi passi in giro per la casa, poi nulla. – Non è vero che siete fiori di plastica, – dico senza sapere se mi sente ancora. – Siete forse piú liberi, certamente migliori di come siamo stati noi.”

Personalmente credo che quando un romanzo arriva a coniugare l’originalità della storia con la bellezza della scrittura possa ritenersi raggiunta la maturità artistica di chi fa il mestiere di scrittrice o scrittore: con “Grande Meraviglia” la napoletana Viola Ardone è diventata definitivamente una “meravigliosa” scrittrice.

Elba ha il nome di un fiume del Nord: è stata sua madre a sceglierlo. Prima vivevano insieme, in un posto che lei chiama il mezzomondo e che in realtà è un manicomio. Poi la madre è scomparsa e a lei non è rimasto che crescere, compilando il suo Diario dei malanni di mente, e raccontando alle nuove arrivate in reparto dei medici Colavolpe e Lampadina, dell’infermiera Gillette e di Nana la cana. Del suo universo, insomma, il solo che conosce. Almeno finché un giovane psichiatra, Fausto Meraviglia, non si ficca in testa di tirarla fuori dal manicomio, anzi di eliminarli proprio, i manicomi; del resto, è quel che prevede la legge Basaglia, approvata pochi anni prima. Il dottor Meraviglia porta Elba ad abitare in casa sua, come una figlia: l’unica che ha scelto, e grazie alla quale lui, che mai è stato un buon padre, impara il peso e la forza della paternità. Con la sua scrittura intensa, originale, piena di musica, Viola Ardone racconta che l’amore degli altri non dipende mai solo da noi. È questo il suo mistero, ma anche il suo prodigio.

Viola Ardone (Napoli 1974) insegna latino e italiano al liceo. Per Einaudi Stile Libero ha pubblicato i due best seller Il treno dei bambini (2019) e Oliva Denaro (2021), tradotti in tutto il mondo, e Grande meraviglia (2023).

Autore: Viola Ardone
Editore: Einaudi
Collana: Einaudi. Stile libero big
Anno edizione: 2023
In commercio dal: 19 settembre 2023
Pagine: 304 p., Brossura
EAN: 9788806257620

Pubblicato da Rita Scarpelli

Sono Rita Scarpelli e vivo a Napoli, una città complessa ma, allo stesso tempo, quasi surreale con i suoi mille volti e le sue molteplici sfaccettature. Anche forse grazie a questa magia, da quando ero bambina ho amato la lettura e la scrittura . Nonostante gli studi in Economia e Commercio mi abbiano condotta verso altri saperi e altre esperienze professionali, il mio mondo interiore è sempre stato popolato dai personaggi e dalle storie dei libri che leggevo e ancora oggi credo fortemente che leggere sia un’esperienza meravigliosa. Parafrasando Umberto Eco, “Chi non legge avrà vissuto una sola vita, la propria, mentre chi legge avrà vissuto 5000 anni…perché la lettura è un’immortalità all’indietro”. Lo scorso anno ho vissuto l’esperienza incredibile di pubblicare il mio romanzo di esordio “ E’ PASSATO”, nato dalla sinergia dell’ amore per la scrittura con la mia seconda grande passione che è la psicologia. E poiché non c’è niente di più bello di condividere quello che ama con gli altri, eccomi qui insieme a voi!

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