Il dolore dell’anima, a cura di Giovanni Margarone

Grafica di Lara Michelotti

Giovanni Margarone ci parla del dolore dell’anima, lo approccia rifacendosi al pensiero filosofico.

Tempo fa, affrontai il tema della gioia, definendola come la sublimazione di ogni fatto che ci rende felici, nutrendoci lo spirito.
Ma l’essere umano è travagliato anche dal dolore. Le pene hanno caratterizzato tutta la sua storia, sin dai tempi più remoti, affliggendolo. Tuttavia, la forza umana è talmente speciale che ha consentito all’uomo di sopportare questo dolore, sia esso fisico o interiore, perché ciò è insito nel suo ancestrale istinto di sopravvivenza, il che ci accomuna a tutti gli altri esseri viventi.
Per capire cosa sia il dolore, al di là della sua ovvia tangibilità nel corso della nostra vita, è necessario ricollegarlo al concetto di “male” e in questo la filosofia può darci un valido ausilio.
Aristotele definisce “atto” la conseguenza dell’agire e l’atto, a sua volta, provoca un effetto che può essere benevolo o malevolo. Da ciò si può trarre il concetto di forza, astratta o fisica che sia.
Aristotele, quindi, definisce che l’effetto può essere solo conseguenza dell’atto effettuato con la forza, naturale manifestazione della potenza. C’è quindi una conditio si ne qua non tra causa ed effetto.
E mentre nel mondo sensibile, quello che tutti noi viviamo, associamo un’interpretazione meccanica dell’atto e della sua conseguenza, nel mondo metafisico il concetto sembrerebbe assai più complesso, ma non lo è. Ma partiamo dal mondo tangibile, tornando al concetto di “dolore”.
Empiricamente, il dolore è ciò che fa male. Un calcio fa male, per esempio, perché avvertiamo una sensazione corporea spiacevole a causa del trauma che i nostri centri sensoriali avvertono come un pericolo per il nostro corpo. Mentre il dolore che avvertiamo, facendoci soffrire, in qualche parte di noi è un avvertimento anch’esso di pericolo per il nostro corpo. C’entra sempre il “male”, perché è esso sempre la causa del dolore che è, appunto, l’effetto del male.
Il nostro corpo, quindi, quando lancia messaggi attraverso il dolore significa che ha una qualche malattia. Entriamo così nel mondo della scienza medica, che ebbe inizio con Ippocrate quando stabilì il concetto di “sintomo”. Lasciamo quindi ai medici e alla loro letteratura la trattazione del dolore fisico, che nella storia è stato ampiamente oggetto di ricerca al fine di curare l’uomo dalle malattie e dai traumi a lui cagionati, per addentrarci a trattare il secondo, e non meno importante, tipo di dolore che è quello interiore, tornando alla filosofia.
Infatti, non appena volgiamo la nostra attenzione alla metafisica, notiamo con apprensione quando sia profondo e vasto il concetto di dolore interiore e quanto sia presente nell’animo umano, al pari della gioia. Aristotele, per spiegare questo tipo di dolore, parte sempre dal concetto di “atto”, non necessariamente meccanico, che può penetrare con violenza nel nostro ego, sconvolgendoci, addolorandoci l’anima. Ho detto non necessariamente meccanico, perché non solo un atto astratto può provocare il dolore interiore: questo è il punto d’unione tra mondo tangibile e mondo intangibile, due mondi che coesistono in una continua interazione, in cui l’esistenza dell’uno dipendente dall’esistenza dell’altro. Una simbiosi indispensabile, perché se un mondo cessasse di essere, cesserebbe anche l’altro, diventando l’”ente” il “niente”, ossia l’origine di tutto l’universo quando il divenire del tempo non esisteva e il vuoto, cioè il “niente” era infinito, non esistendo il “tutto”.
Il dolore interiore è stato celebrato da poeti e scrittori, la letteratura è colma di storie di dolore.
Il dolore interiore provoca ferite che non rimarginano, tanto è stato il male che lo hanno cagionato. Il dolore interiore spesso non è capito e fa soffrire in silenzio le proprie vittime. A tal proposito, Oriana Fallaci scrisse:

“È incredibile come il dolore dell’anima non venga capito. Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine. Se hai il cuore a pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgono neanche.
Eppure il dolore dell’anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare”.
Insciallah (Rizzoli 1990).


Alla base di questo dolore troviamo sempre il male, come nel dolore fisico. Colui che compie un atto malvagio provoca dolore a chi lo subisce. Infiniti sono gli atti malvagi che possono provocare il dolore dell’anima e infinite sono le ferite in noi stessi che mai si rimargineranno, nessuna cura potrà riuscirci. Il dolore può essere lenito, sopportato, ma non eliminato; resterà sempre in noi, pronto a far sentire la propria voce, risvegliando sentimenti di vendetta e facendoci contorcere nella sofferenza.
Il male è il lato oscuro del nostro ego, una forza di una potenza terribile, perché tramite esso è stato possibile, nella storia, assoggettare interi popoli con la paura. Il male conferisce potenza agli uomini, in una distorta visione del mondo, tanto fallace da far credere che il “male” sia “bene”.
Nietzsche in “Umano, troppo Umano” (Adelphi) afferma che il male è il residuo della sua primitiva essenza. Chi è malvagio e feroce è ancora animato da una cattiveria primordiale che l’evoluzione non è riuscita a sconfiggere. Il crudele è, per Nietzsche, essenzialmente un primitivo che deve essere sopraffatto, punito ed emarginato da quella casta di uomini che hanno fatto della conoscenza ragione di vita, perché solo la conoscenza, che porta ad una visione ampia e sistemica del mondo, è in grado di elevare la coscienza umana indirizzandola verso il bene.
L’uomo non si deve arrendere al male, perché il “tutto” metafisico, tanto caro ad Aristotele, del quale l’uomo fa parte è composto anche dal bene, che si manifesta tramite l’amore, l’unica grande forza capace di oscurare il male e il dolore conseguente e contrastarne la potenza: questa è la salvezza dell’intera umanità.
Colui che soffre, affranto dal dolore, dev’essere capito e aiutato con l’amore. La nostra mano amorevole sarà per lui almeno un conforto, perché l’amore deve vincere sempre.

Giovanni Margarone