Ma cos’è un analfabeta funzionale?
È tempo di continuare a parlare di cultura, la vera anima dell’umanità, nonché propulsore del suo progresso. Sin dalla sua comparsa, l’homo sapiens ha elaborato idee, fatto scoperte, riuscendo a diventare quell’essere progredito capace di valicare gli orizzonti. Ma cos’è la cultura nel senso della sua ampia accezione e qual è la situazione nel mondo di oggi; è ancora un mondo culturalmente effervescente o si sta assopendo perché fortemente attratto da una realtà tecnologica che tende a sostituire lo stesso intelletto?
Cultura è conoscenza, ma non solo. È presente in ogni realtà sociale sin dalla notte dei tempi e da allora tramandata. Si parla di tradizione, appunto, perché passa da una generazione all’altra e in ogni fase viene arricchita. E non esiste solo la cultura dotta, quella che nel comune sentimento siamo portati a pensare, ossia quella delle arti, delle scienze e della religione. Per esempio gli Aborigeni australiani hanno la loro cultura, come le comunità tribali africane o quelle eschimesi della Groenlandia. La cultura è legata al contesto in cui nasce, è espressione di una comunità di qualunque genere essa sia. Per questo è propulsiva, perché la conoscenza fa parte di noi esseri intelligenti e ciò ci differenzia dal resto del mondo animale.
Il secondo quesito è quello relativo alla situazione della cultura nel mondo contemporaneo.
Intanto bisogna dire che generalizzare non è ammissibile a causa della poliedricità dell’intera umanità ed è quindi necessario analizzare ogni contesto e, nel nostro caso, quello relativo al mondo occidentale. Dico nel nostro caso, perché, come già ho accennato esistono tanti baricentri con altrettanti poli culturali. Insomma è un po’ come vedere il mondo da un satellite e focalizzare il nostro cannocchiale sull’obiettivo che ci interessa. Restringendo ancora, dopo aver inquadrato l’Europa, punto sull’Italia.
I popoli italici sono sempre stati virtuosi in senso culturale. Quest’anno, per esempio, sono celebrati i 700 anni che decorrono dalla morte di Dante: un letterato immenso che non solo condizionò la nostra cultura, ma quella dell’intero Occidente. Ma non solo Dante. Pensiamo a Leonardo da Vinci e a Fibonacci, quest’ultimo considerato il più grande matematico di tutti i tempi, noto soprattutto per avere introdotto la numerazione araba in Europa. E Galileo, Bernini, Giotto, Giuseppe Verdi? Menti geniali. Insomma, con orgoglio, noi italiani possiamo dire che gran parte dello scibile umano moderno ha avuto origine qui, in Italia. Ciò potrebbe far pensare a un mio approccio campanilistico, ma non è così, perché i meriti della cultura italiana sono stati universalmente riconosciuti e le opere, intuizioni e invenzioni dei nostri Grandi sono stati i fondamenti per il progresso culturale-scientifico-tecnologico mondiale e sono patrimonio dell’umanità.
Italia, quindi, da sempre motore di cultura: ma oggi è ancora proprio così?
In parte ancora sì, le eccellenze in tutti i campi ce le abbiamo; menti brillanti continuano a distinguersi anche tra le nuove generazioni e questo è un buon segno. Tuttavia, riguardo alla massa della popolazione, ci sono aspetti che invece ci portano a fanalino di coda e in questo caso, sono i dati a dircelo oltre a un sentimento generale.
In questo scorcio di terzo millennio insiste un grave problema che rischia di diventare sistemico. Parto dall’indice più tangibile, almeno per quanto mi compete, che è quello della diffusione della lettura in Italia.
Le statistiche ci dicono che solo il 40% degli italiani in un anno ha letto almeno un libro, tra questi il 19% sono lettori “deboli” (massimo tre libri all’anno) e il 6% sono lettori forti (un libro al mese). Sono dati sconfortanti, tenuto conto dell’importanza che ha il leggere e visto il raffronto con altri paesi europei: da un minimo della Spagna con il 60% di lettori, fino ad arrivare alla Norvegia con ben il 90% di lettori. I dati sui lettori italiani sono è un cattivo segno collegato a un altro fenomeno dilagante e tragico quanto un virus: l’analfabetismo funzionale. Un’indagine dell’Ocse-Piaac ha stimato che un italiano su quattro è analfabeta funzionale e come competenze generali della popolazione l’Italia è al penultimo posto in Europa e al quartultimo a livello mondiale. Sulle competenze, quindi, siamo scarsi: il regresso culturale incombe.
Ma cos’è un analfabeta funzionale? L’analfabeta funzionale è scolarizzato, sa leggere e scrivere, ma dopo la scuola ha una regressione rispetto ai livelli acquisiti nel percorso formativo; non legge, non si informa o si informa male, fa fede sulle sue convinzioni e sui suoi pregiudizi, non ha capacità di analisi e, per questo, paragona il mondo solo alle sue esperienze dirette. Inoltre non sa trarre informazioni e spunti perché non comprende il senso di un testo. Ciò va a scapito della “competenza” basata sulla conoscenza, l’abilità e la capacità.
L’analfabeta funzionale è pigro, non interagisce, ingurgita passivamente le informazioni dei media mediante visione e ascolto e non necessariamente la sua condizione deriva dall’ambiente familiare. Nei casi più gravi, l’analfabeta funzionale non sa scegliere a causa della sua ottusità, ha disinteresse per il mondo che lo circonda, generalizza ed è pervaso da un pregiudizio radicato. Insomma è un vero dramma, sembrerebbe. Dramma, sì, perché l’analfabetismo funzionale comporta gravi ripercussioni sull’intera società, poiché le persone colpite diventano cellule isolate. Quanto agli effetti di questo fenomeno, li possiamo trovare facendo i sondaggi, in quanto quasi la metà degli intervistati spesso non risponde o dice “non so”; inoltre non essere in grado di fare scelte per disinteresse o incapacità provoca grave nocumento alla vita politica. Infatti non avere idee chiare e mostrare disinteresse quando ci sono le elezioni, per esempio, provoca scarsa affluenza e voti errati. Non è cosa da poco, perché ciò determina risultati politici non rispondenti alla volontà popolare e una falsata rappresentatività in Parlamento.
Come già accennato, l’analfabetismo funzionale incide quindi sulla pletora dei lettori abbassandone la percentuale e ciò comporta anche un problema economico: vendite di libri e riviste scarse, case editrici in crisi, librerie chiuse, disoccupazione nel settore. Quindi il fenomeno è un problema sociale, ma anche economico: il non leggere incide sul PIL. Per questi e altri motivi è assolutamente necessario che il fenomeno sia arginato se non vogliamo che le percentuali salgano e l’Italia vada incontro ad un inesorabile impoverimento culturale e sociale generale. Da dove partire? Senz’altro dalla scuola, sulla quale lo Stato deve investire molto di più; dal mondo della cultura con una continua opera di divulgazione e promozione; dai mass-media che devono avere più spazi dedicati alla cultura in visione pluralistica. Insomma: risvegliare le coscienze in più modi possibili, perché l’Italia dal suo passato glorioso non merita di andare alla deriva.