Ovunque io sia di Romana Petri edito Beat.
Il romanzo, che esce nel 2012 per Beat, racconta tra mille altre la storia di tre donne, Ofelia, Margarida e Maria do Ceu, le cui esistenze si intrecciano e si snodano dagli anni 40 fino ai giorni nostri, in un Portogallo piegato dalla dittatura di Salazar che ritroverà la libertà solo con la rivoluzione dei garofani del 1974.
Difficile, se non impossibile raccontarne, sia pure per sommi capi, la trama, perché impossibile è anche solo provare a circoscriverne le molte anime che lo attraversano.
Senz’altro si può affermare che si tratti di un’opera poderosa, 622 pagine, che si leggono però tutte d’un fiato, si divorano febbrilmente, divisi tra la speranza di un guizzo finale, di una possibilità di salvezza in limine che in cuor tuo sai che non arriverà, e il desiderio che non finisca mai.
Tanto grande è l’amore che cresce nel corso della lettura nei confronti dei personaggi narrati che non vorresti lasciarli andare e, quando escono di scena, senti tuo il lutto di chi resta tra le pagine del romanzo; figure che dalla carta balzano fuori prepotenti e si fanno di carne e sangue, ai cui palpiti del cuore, ai cui rovelli della mente, alle cui lacerazioni della carne il lettore partecipa con pathos costante, sentendosi parte di quelle.
Quel che si può dire con assoluta certezza è che Romana Petri in questo romanzo traccia un memorabile affresco della società portoghese, della sua umanità dolente, di un popolo che è diventato triste per aver perso l’impero, che si è ritrovato debole e povero all’improvviso e che per sempre proverà nostalgia di quella ricchezza perduta, che esprimerà attraverso la saudade.
Ma “Ovunque tu sia” è un libro che riesce a raccontare di questo popolo attraverso indimenticabili ritratti individuali delle differenze di genere, della condizione di sottomissione della donna, dei secolari privilegi degli uomini, delle logiche del potere che non mutano mai nonostante il rinnovato volto dello scenario pubblico.
Alle donne, per esempio, toccava sposarsi e sopportare e tenerseli pure stretti quei mariti, qualunque cosa facessero. Perché c’era sempre qualche donnaccia pronta a ghermire gli uomini altrui e a portarseli via. E chi aveva il coraggio di alzare la testa e ribellarsi veniva marchiata a fuoco.
Una donna che mette il marito fuori di casa è una puttana, una svergognata che starà sulla bocca di tutti.
…Una moglie non doveva essere scelta per la sua bellezza. Certo non doveva nemmeno essere brutta, ma a sceglierla troppo bella si correvano sempre dei rischi. La bellezza poteva sempre andarsela a cercare altrove, che un uomo, si sa, di una sola donna non si accontenta. E una buona moglie deve essere anche una donna orgogliosa, di quelle che non danno a vedere nulla e si tengono tutto dentro…Solo una donna orgogliosa avrebbe mandato giù qualsiasi boccone amaro senza nemmeno darlo a vedere.
Senza mai cadere nella didascalia le figure femminili nel racconto dell’autrice risultano, pur con le loro diversità, dei giganti, anche quelle negative, mentre l’uomo quasi sempre si rivela creatura immensamente piccola, infinitesima; ne vien fuori tratteggiato come un essere che dopo lo sfavillio iniziale, sempre di breve durata, peraltro, si rivela meschino, egoista, codardo, concentrato solo su di sé e sul perseguimento del proprio personale benessere, che sia di natura sessuale, sociale, professionale non conta.
Sta di fatto che sistematicamente di fronte alle prime difficoltà, alle assunzioni di responsabilità, al redde rationem di fronte alla vita vera l’uomo trova sempre comodi alibi e oppone rassicuranti vie di fuga, riuscendo a collocarsi in una dimensione comoda dell’esistenza.
Per fortuna però qualche eccezione esiste e se ne gode appieno.
A restare sono comunque le donne e il peso del mondo paiono, dunque, trascinarlo sulle loro spalle.
In questo la maternità ha un ruolo centrale nel racconto; che sia concessa o negata, che sia fonte di gioia o di strazio infinito, è descritta sempre con una lingua veritiera e tagliente, nei suoi insanabili chiaroscuri e nelle inevitabili contraddizioni.
Avrebbe vissuto accanto a lei tutta la vita,…, le avrebbe dedicato ogni cura, ma non avrebbe potuto evitare momenti di grande insofferenza, momenti in cui l’egoismo umano prende il sopravvento anche nel cuore di una madre. Era di questo che provava orrore, di sapersi fragile senza previsioni,…,un veleno che se la mangiava viva. Il senso di colpa di chi quasi si annulla per l’altro ma non riesce ad annullarsi fino in fondo, e per quel tassello mancante si arrovella, non si perdona.
In fondo quella di madre è l’unica condizione in cui la donna si realizza appieno, dopo i fallimenti e le disillusioni provocate dall’amore, che lascia sempre immancabilmente macerie lungo il cammino.
Non farti ingannare da chi ti dirà che starò meglio lì dove sarò andata a finire, perché certo da qualche parte andrò, ma ricordati, ovunque io sia io continuerò a stare anche qui e vedrò e saprò quello che farai…
Questo mi ha mandata avanti per tutta la vita, mi ha dato una gran forza anche quando credevo di non averne più. La forza di una madre, l’amore materno che ci resta incollato addosso.
L’amore materno, dunque, che ci resta incollato addosso, come dice Maria do Ceu a suo figlio Vasco per prepararlo alla sua dipartita, una delle poche certezze inalienabili da cui attingere forza.
Ma accanto a tutto questo, come se non bastasse, “Ovunque io sia” racconta mirabilmente anche i silenzi, i non detti, le occasioni sprecate, come cifra di un intero popolo, i muri innalzati e le trincee scavate dall’incomunicabilità, la guerra torbida del silenzio, come se agli esseri umani altro non restasse da fare che rassegnarsi alla propria irrimediabile solitudine, come se esprimere i sentimenti non fosse possibile farlo se non attraverso i fatti, senza mai poterli accompagnare con le parole. Poiché tacere è sempre più facile che parlare. Da qui, dunque, da questo nodo duro e irrisolto si parte per raccontare di esistenze cupe spese in inutili attese, di vite sacrificate sull’altare dell’orgoglio, di coscienze lavate dal peccato col sapone della consuetudine.
L’alternativa posta in essere da qualche personaggio sono però i castelli in aria:
Farsi i castelli in aria era stata la specialità di sua madre. Era un difetto, ma anche una qualità, perché alla fine, pure se delusa, lei trovava sempre la forza di sperare ancora. E aveva sperato proprio fino all’ultimo, e chissà, magari quella speranza l’aveva anche fatta soffrire meno.
Esistenze così misere in cui non resta altro da fare che attaccarsi alla speranza, dunque, perché quando si ama troppo non si possono fare grandi progetti, perché l’amore è una zavorra che impedisce di investire su se stessi, perché si è troppo impegnati a dare agli altri. Ed è il destino che tocca solitamente alle donne appunto.
E su tutto questo si stende il cielo cangiante di Lisbona, mentre l’acqua del Tago e l’oceano fanno da contrappunto alla narrazione in ogni momento. C’è il Portogallo tutto con i suoi odori, i suoi sapori, la sua lingua e l’inquietudine di sempre.
Insomma mi fermo solo perché devo e perché impossibilitata a raccontare tutto.
Una cosa però ancora voglio dirla: potente è termine abusato quando si parla di libri, è vero. Ma qui ci sta, s’impone, è doveroso come non mai, perché potente è l’impianto narrativo, potenti le visioni e le rappresentazioni dei microcosmi, di quei vissuti individuali che vanno ad innestarsi su una storia più ampia, quella di un intero popolo. Potente ancora è la lingua di Romana Petri, che ha come nessuna accenti di verità e di vita.
Mai ti assale la sensazione che quello che stai leggendo è finzione, mai. Ti ritrovi, o almeno hai l’illusione di trovarti, immersa nella vita vera, nel suo ininterrotto fluire fatto di alternanza di gioia e dolore, di speranza e disillusione.
In conclusione, per me questo romanzo è stato un regalo, strepitoso, anzi “spettacolare”, come direbbe Thiago, uno dei protagonisti, che del termine abusa a mano a mano che il suo personaggio scolora, evolvendo nel sociale e involvendo nel privato; nel momento esatto in cui sceglie, una volta e per sempre, di mettere a tacere gli accenti della vita privata e di privilegiare quella pubblica, nell’improbabile rincorsa di un riscatto che non gli riuscirà mai fino in fondo.
Uno dei romanzi più belli di sempre per me, da leggere assolutamente.
Qualcuno lo ha detto prima di me: Quando finisci di leggere un libro che ti è piaciuto molto vorresti che l’autore diventasse tuo amico. Ecco, è questo che vorrei.
Grazie, Romana Petri.
Donatella Schisa
Titolo : Ovunque io sia
Autore : Romana Petri
Editore : Beat
Collana : Beat
EAN: 9788865590782
Prezzo : € 9
Scrittrice italiana. Vive tra Roma e Lisbona. Editrice, traduttrice e critica letteraria, collabora con «ttl La Stampa», il «Venerdì di Repubblica», «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».
Considerata dalla critica come una delle migliori autrici italiane contemporanee, ha scritto tra romanzi e raccolte di racconti nove libri. Ha ottenuto prestigiosi premi e riconoscimenti, tra i quali il Premio Mondello, il Rapallo-Carige e il Grinzane Cavour. È stata inoltre finalista due volte al Premio Strega.
Tra le sue opere ricordiamo Alle Case Venie (Marsilio, 1997), I padri degli altri (Marsilio, 1999), La donna delle Azzore(Piemme, 2001), Dagoberto Babilonio, un destino (Mondadori, 2002), Esecuzioni (Fazi, 2005), Ovunque io sia (Cavallo di ferro, 2008), Ti spiego (Cavallo di ferro 2010), Tutta la vita (Longanesi 2011), Figli dello stesso padre (Longanesi 2013), Le serenate del Ciclone (Neri Pozza 2015, vincitore del premio Super Mondello 2016 e del Mondello Giovani), Il mio cane del Klondike (Neri Pozza 2017) e Pranzi di famiglia (Neri Pozza 2019).
Le sue opere sono tradotte in Olanda, Germania, Stati-Uniti, Inghilterra, Francia e Portogallo.
La descrizione del libro
Ofelia, Margarida e Maria do Ceu sono le tre donne di una travolgente saga familiare che parte negli anni Quaranta e finisce ai giorni nostri. Sullo sfondo di una Lisbona dalla bellezza magica, ma anche oppressa da una dittatura che finirà solo con la rivoluzione del 1974, i loro tragici destini si incroceranno per sempre. Manuel, Carlos e Tiago sono gli uomini che, dopo le false promesse, le porteranno verso il dolore, il sacrificio e l’annientamento. Romanzo di amori mancati e sbagliati, “Ovunque io sia” è anche la storia della forza di una maternità senza confini, la frase lascito che ogni madre, prima di morire, affida ai figli nel desiderio di non abbandonarli del tutto. Romana Petri dipinge l’affascinante affresco di un Portogallo chiuso, dolente e tragicamente arretrato. Il lungo cammino umano di un popolo che, dopo il forzato silenzio, troverà il coraggio di essere moderno scegliendo la libertà.
Bellissima recensione, grazie davvero cara Donatella Schisa!