Amore e sesso nell’Antica Roma, Alberto Angela

Amore e sesso nell’Antica Roma, Alberto Angela. Mondadori.

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“Da che nascono le improvvise passioni di un uomo per una donna, le passioni profonde, interiori? In minima parte dalla sola sensualità: ma quando un uomo trova insieme in un essere debolezza, bisogno d’aiuto e nel contempo alterigia, accade in lui qualcosa, come se la sua anima volesse straripare: è nello stesso momento commosso e offeso. Qui sgorga la fonte del grande amore.”

Friedrich Nietzsche

Da sempre la storia e la cultura dell’antica Roma ha affascinato e incuriosito milioni di persone: tutto quello che di quel periodo ci è pervenuto, rappresenta un tesoro inestimabile, sotto innumerevoli punti di vista. Eppure, ci sono elementi non esplicitamente visibili nei musei o in tutte le zone nelle quali l’impero si è espanso, e sono molto più sottili, più intimi, più curiosi. E, nella fattispecie, riguardano le relazioni, l’amore e la sessualità vissuti a quei tempi da un popolo poliedrico e capace di sorprenderci sempre, ora come allora. E sarà Alberto Angela, che come un moderno Virgilio, ci condurrà nei tortuosi vicoli dell’Urbe, passando tra palazzi sontuosi a caotiche insulae, tra schiamazzi e intrighi, fin sotto le lenzuola dell’intera comunità romana.

Ma andiamo per gradi, e cerchiamo di capire quali erano gli atteggiamenti tipici delle coppie dell’epoca.

“Contrariamente a quanto si vede oggi, per le strade dell’antica Roma non avreste mai visto una coppia baciarsi. Era contrario alla morale. Baciarsi in pubblico infatti era malvisto, perché contrario alla pudicitia che doveva sempre avere una donna romana. Quindi non avreste mai visto una matrona baciare il proprio marito davanti a tutti (e neanche essere toccata da un uomo in pubblico). Nè avreste visto farlo da una ragazza appartenente a una famiglia aristocratica (…). I ricchi non si baciavano in pubblico, ma gli altri? Neanche loro. Il bacio “passionale” per la strada tra due giovani fidanzati, per esempio, era giudicato scandaloso, contro la morale (…). Lo stesso comportamento composto dovevano avere gli schiavi. Diverso, ovviamente, era il caso delle prostitute, che distribuivano baci ai loro clienti per la strada per trascinarli nelle loro “alcove” (…). Per la morale di allora, nei rapporti di coppia questi gesti passionali erano riservati all’intimità delle pareti domestiche.”

E a proposito di baci, quanti tipi di baci conoscevano i romani?

“Diverse categorie a seconda delle circostanze (…). Esisteva per esempio il bacio di saluto tra militari, quello di congedo, quello funebre, quello di riconciliazione, quello di felicitazione ecc. E poi, ovviamente, esistevano i baci d’amore. E c’è una sorpresa. Se da noi tra un uomo e una donna esiste fondamentalmente un solo bacio d’amore, i romani usavano tre nomi diversi per distinguerne le diverse origini, caratteristiche e finalità.

OSCULUM: è il bacio con le labbra chiuse, non passionale, casto.

SAVIUM: è il bacio passionale vero e proprio, erotico, con l’uso della lingua, “alla francese”.

BASIUM: da cui deriva la parola italiana “bacio”. Questo termine nacque in un secondo momento (pochi decenni prima della nascita di Cristo). Inizialmente indicava un bacio erotico, ma in seguito, nel periodo tardo-imperiale, venne a designare il bacio affettuoso, quello che si dà alla propria moglie e ai propri figli.

Noi, oggi, sappiamo quanto fossero stravaganti i romani per certi versi, e anche rispetto alla questione del bacio, esiste una curiosità decisamente particolare.

“Baciare il marito sulla bocca? È obbligatorio per legge (ius osculi) (…). Lo scopo principale era semplice: controllare se la donna aveva bevuto! E perché lo si faceva? Si seguiva una legge antichissima che prevedeva il divieto assoluto per le donne di bere vino, e che dava al marito il diritto di uccidere la moglie qualora avesse bevuto di nascosto del vino puro. Sappiamo che, sebbene già prima dell’Impero questo divieto fosse caduto in disuso, continuava a essere messo in pratica. Di norma la punizione era il ripudio della consorte, ma sappiamo anche che non di rado il marito uccideva la moglie rinchiudendola in una stanza della casa (la stessa dove sarebbe stato punito un amante colto in flagrante) e lasciandola morire di fame. Perché tanta cattiveria? Perché bere vino era equiparato a un adulterio. Perché una donna, bevendo, perdeva il controllo e poteva facilmente commettere un tradimento o, più in generale, comportarsi in modo disdicevole. Naturalmente ci voleva la “controprova” delle analisi: la fornivano i parenti del marito. Annusando, compivano il secondo test per avvalorare o meno l’accusa del marito. O per salvare l’onore della gens, qualora il marito non se ne fosse accorto.”

Le curiosità relative a quell’imponente periodo storico sono davvero tante, a volte quasi incredibili e inspiegabili. Ma addentriamoci ulteriormente in questo mondo lontano e straordinario…

“L’uomo romano era bisessuale. La morale dell’epoca spingeva a educare e a indirizzare i figli maschi in questa direzione. Perché? Per noi può sembrare sorprendente, vista la morale nella quale siamo cresciuti e l’educazione che abbiamo ricevuto. Ma duemila anni fa le cose stavano in modo diverso. E bisogna entrare nella mentalità romana per capire il motivo. L’uomo romano, il civis Romanus, è innanzitutto spronato fin dall’infanzia, a essere un dominatore e a imporsi ovunque possibile. Tanto in guerra, quanto in politica e in società, ma soprattutto in famiglia. Tra le quattro mura domestiche l’uomo, il pater familias, è il padrone assoluto, un semidio, con potere persino di vita e e di morte su moglie, figli e schiavi. Ma allora perché un uomo romano deve essere bisessuale e non invece spiccatamente eterosessuale, dal momento che per dimostrare il suo ruolo di maschio gli “basterebbe” dominare la donna? Perché il suo pensiero di dominio va oltre la donna: deve dominare tutti. La mentalità dell’uomo romano è di essere un vincente e di imporre la sua volontà su tutti: sui popoli nemici con le armi e le leggi, sugli altri romani con la ricchezza o lo status sociale, e su persone di rango inferiore anche con…la sessualità. La sua virilità è insomma uno strumento per dimostrare la sua superiorità e per sottomettere gli altri. E per “altri” intendiamo tutti: uomini, donne e ragazzi (…). Mai e poi mai un uomo romano in campo sessuale doveva essere sottomesso. Ed ecco perché i romani avevano l’abitudine di sodomizzare i nemici sconfitti. E non solo. C’era l’abitudine di sodomizzare anche gli schiavi di casa e gli ex schiavi, cioè i liberti.”

Proprio in virtù di quanto appena detto, risulta evidente che la donna non avesse alcuna voce in capitolo, nemmeno a letto. Anche in questa circostanza, doveva subire l’amplesso, con poca partecipazione ed entusiasmo.

“Per un romano doc, legato ai principi della moralità, una moglie non si addiceva all’eros e al sesso. Per queste pulsioni c’erano le schiave, le amanti, le concubine, le prostitute (…). La sposa non doveva conoscere le gioie del sesso e dell’amore; a lei era riservato soltanto il compito della riproduzione (…). Non deve quindi stupire che, sebbene si sposassero, i romani considerassero il matrimonio come un obbligo sociale. Non essendo matrimoni d’amore, per loro era solo una costrizione per soddisfare i desideri di carriera, economici o sociali del padre o della casata.”

Ma chi sono le concubine e da dove vengono?

“Il nome concubina viene da cum e cumbo, ossia “giaccio insieme”. La concubina è una donna che ha una relazione sessuale con un uomo sposato, vive in comune con lui, addirittura a casa sua, ma…non è sua moglie. Gli uomini romani quindi possono avere una o più donne in casa. In realtà non hanno inventato loro questa pratica, l’hanno ereditata dalle precedenti popolazioni dell’Italia centrale (…). Dal momento che la qualifica di concubina è comunque “disonorevole”, quasi sempre queste donne hanno un’origine umile. Sono donne con le quali non sarebbe comunque possibile contrarre un matrimonio normale (iustum matrimonium) per via della loro condizione o estrazione. Parliamo quindi di schiave, attrici, prostitute, mezzane, donne che svolgono mestieri considerati “infamanti” (servire nelle locande e nelle popinae), o donne condannate per adulterio o altri reati. A queste bisogna aggiungere anche le straniere (cioè prive di cittadinanza romana), le cosiddette peregrinae, che per sposarsi avrebbero dovuto chiedere un permesso speciale spesso con esito negativo. E infine ci sono le ex schiave, le liberte. Un romano potrebbe in teoria sposarle, il che avveniva in alcuni casi, ma a causa della loro origine umilissima (si trattava di ex schiave, abusate dai loro padroni) gli uomini preferivano non andare oltre un rapporto di concubinato con loro. Tra le curiosità del vivere con una concubina c’è il fatto che, non essendoci obblighi formali in questa unione, decadono automaticamente anche alcune colpe: per esempio, se una concubina viene scoperta a fare sesso con un altro uomo non può essere denunciata per adulterio.”

Avendo un tipo di morale diverso da noi, avevano anche altre abitudini, che non generavano alcuna forma di imbarazzo, anzi, addirittura alcune “usanze” potevano rivelarsi utili e indispensabili…

“L’enorme pene di bronzo con campanelline (tintinnabulum) che pende dalla volta dal corridoio d’entrata serva a scacciare il male, la sfortuna, gli spiriti maligni. Quindi non ha niente a che vedere con il sesso ma con la scaramanzia, la protezione della casa e dei suoi occupanti (…). I romani chiamavano l’organo sessuale maschile “fas” (da cui fascino) o, più volgarmente, “mentula” (…). Il simbolo del pene portafortuna è sopravvissuto per secoli dopo la caduta dell’Impero romano: per tutto l’inizio del Medioevo si trovavano dei falli incisi o rappresentati sugli stipiti delle porte per allontanare il male. Ma poi dopo l’anno Mille le autorità ecclesiastiche hanno deciso di combattere questi simboli considerati osceni, frutto di una perversione pagana che richiamava il peccato, e da quel momento progressivamente il pene si è trasformato in un…corno (…). Sul muro del peristilio dove si trova il giardino è rappresentato Priapo con il suo enorme organo sessuale. Anche qui non si tratta di sesso ma di una rappresentazione sacra, protettiva nei confronti della casa, e soprattutto del giardino. In effetti, Priapo, guardiano e protettore dei campi, nato da un ramo di fico, puniva i ladri di frutta…fustigandoli. Era la pena corporale che rischiavano effettivamente sia i ladri sia tutti quelli che entravano in una proprietà privata. Essere colti sul fatto equivaleva a essere…”colti in fallo”.

L’idea dell’amore, della sensualità e più nello specifico, del sesso, come abbiamo potuto constatare, era per certi versi diversa dalla nostra, per usi, costumi e tradizioni.

…mentre noi viviamo il sesso con il senso del peccato, i romani lo vivono come uno dei piaceri della vita. Senza per questo cadere nella volgarità, nella depravazione o nella trasgressione. È semplicemente uno dei regali degli dèi, da cogliere e assaporare al volo (…). Essendo considerato un dono degli dèi, bisognava goderne in tutte le sue forme. Una vita assai più breve della nostra (la metà circa), le difficoltà quotidiane, la morte sempre in agguato e l’assenza di un aldilà gratificante e ripagante (tranne i Campi Elisi, per pochi meritevoli) facevano sì che i romani concentrassero nel quotidiano tutti i piaceri della vita. Dal buon cibo al buon vino, all’amicizia, al gioco, alla risata a teatro, al sesso e all’amore…”

Per una persona come me, che ama profondamente la storia, leggere alcune vicissitudini specifiche relative ai nostri lontanissimi avi, descritte in maniera magistrale da Alberto Angela, è un piacere puro, autentico, incommensurabile. Con la passione che da sempre lo contraddistingue, l’autore ci prende per mano, e ci conduce tra le strade più chic dell’epoca ma anche tra i quartieri popolari come la Suburra e, attraverso scritti di Seneca, Giovenale o Marziale, e tutta una serie di reperti archeologici e di vari documenti, ci apre porte che affacciano su un mondo straordinario, mostrandoci, senza essere fazioso, luci e ombre di un grande popolo, che per i suoi tempi è stato un grande precursore sotto tanti aspetti e il cui operato, nel bene e nel male, in qualche modo è arrivato fino a noi…

Questo è un libro di storia e d’amore. Ci fa immergere in un mondo lontano e affascinante, condotti dal filo della nostra curiosità. Cerca di rispondere alle domande più frequenti e insolite sull’amore e il sesso al tempo dei romani. “Amore e sesso nell’antica Roma” unisce il piacere di lettura di un romanzo all’accuratezza di un saggio storico. Per ricostruire un quadro completo e scrupoloso, e scovare le notizie più sorprendenti, ci si è basati su scoperte nei siti archeologici, dati di laboratorio, una ricchissima bibliografia di testi antichi e studi moderni, e centinaia tra reperti nei musei, affreschi, statue, graffiti di Pompei ed Ercolano. Com’era possibile unire tutte queste scoperte in un unico, coinvolgente viaggio? Immaginate di ritornare indietro nel tempo e di trovarvi in una piazza di Roma antica. Davanti a voi ci sono delle persone che passeggiano normalmente: una fanciulla e un ragazzo innamorati, un gladiatore che lancia uno sguardo a una giovane nobildonna, un padre che accompagna il figlio alla sua “prima volta”, una prostituta d’alto bordo… Guardate bene queste persone: basterà seguirle nella loro giornata e ci faranno scoprire gli intriganti segreti dell’amore e del sesso ai tempi dell’antica Roma. E quanto il loro modo di amare somigliasse incredibilmente al nostro.

Alberto Angela, laureato in Scienze Naturali, ha seguito numerosi corsi di specializzazione nelle università degli Stati Uniti. È autore e conduttore di programmi televisivi di successo, fra cui “Superquark”, “Ulisse” e “Passaggio a Nord Ovest”. Gli è stato attribuito nel 2017 il Premio èStoria alla divulgazione. Tra i libri che ha pubblicato ricordiamo: Musei (e mostre) a misura d’uomo (Armando, 1988) e vari libri assieme al padre Piero Angela fra cui La straordinaria storia di una vita che nasce – 9 mesi nel ventre materno (RAI-Eri-Mondadori, 1996), Squali (Mondadori, 1997), Viaggio nel Cosmo (Mondadori, 1998), Un viaggio nell’antica Roma (Mondadori 2007), Impero (Mondadori 2010), Amore e sesso nell’antica Roma (Mondadori 2012), I bronzi di Riace. L’avventura di due eroi restituiti dal mare (Rizzoli 2014), San Pietro. Segreti e meraviglie in un racconto lungo duemila anni (Rizzoli 2015) Gli occhi della Gioconda (Rizzoli 2016), Cleopatra. La regina che sfidò Roma e conquistò l’eternità (HarperCollins Italia 2018). Nel 2019 per RaiLibri pubblica Meraviglie. Alla scoperta della penisola dei tesori. Con Harper Collins nel 2020 ha pubblicato L’ultimo giorno di Roma, il primo volume di una trilogia su Nerone, a cui seguono L’inferno su Roma (2021) e Nerone. La rinascita di Roma e il tramonto di un imperatore (2022).

Autore: Alberto Angela
Editore: Mondadori
Anno edizione: 2016
Pagine: 336 p., Brossura
EAN: 9788804667056

Pubblicato da Fabiana Manna

Salve! Sono Fabiana Manna e adoro i libri, l’arte, la musica e i viaggi. Amo la lettura in ogni sua forma, anche se prediligo i thriller, i gialli e i romanzi a sfondo psicologico. Sono assolutamente entusiasta dell’idea della condivisione delle emozioni, delle impressioni e delle percezioni che scaturiscono dalla lettura e dalla cultura. Spero di essere una buona compagna di viaggio!

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