DONATO BILANCIA. LO SPIETATO KILLER DEI TRENI

Immagine in pubblico dominio

Gli assassini non sono dei mostri, sono esseri umani, e questa è la cosa più spaventosa.”

Alice Sebold

Quando si parla di omicidi seriali, in linea di massima, la mente evoca posti esotici, dove casi del genere capitano con maggiore frequenza e i media sono letteralmente invasi da queste tragiche notizie. Purtroppo, però, anche il Bel Paese ha visto salire agli onori della cronaca nera personaggi che hanno lasciato dietro di loro scie di sangue e di dolore, con una efferatezza e una disumanità spaventose. Possiamo tranquillamente asserire che i serial killer italiani non presentano importanti peculiarità che li distinguono da quelli di altri paesi. In tutti si nota la “sindrome dell’alienazione”, problemi di relazione con gli altri, difficoltà a inserirsi nel mondo reale, predominanza delle fantasie.

Uno dei casi più eclatanti riguarda certamente Donato Bilancia, detto Walter, condannato a tredici ergastoli e sedici anni di carcere per aver commesso diciassette omicidi (9 uomini e 8 donne) tra l’ottobre 1997 e l’aprile 1998 in Liguria e nel basso Piemonte. Lui stesso definirà questa escalation di morte e di terrore “la mia consecutio temporum.”

Ma analizziamo la vicenda, cominciando dalla sua infanzia, di certo non rosea.

Bilancia nasce a Potenza il 10 luglio 1951 da un padre dipendente pubblico, molto autoritario, e da madre casalinga, fin troppo remissiva. Si trasferisce con la famiglia prima ad Asti, poi a Capaccio, in provincia di Salerno e nel 1965 a Genova. Ha un fratello più grande, Michele, le cui azioni da adulto contribuiranno a segnare negativamente quelle di Donato. A scuola è un disastro, fuori anche peggio. Cresce complessato, gioca male a calcio e non fa paura a nessuno. Lo chiamano Gaber per via del suo grosso naso, e lo deridono perché ha un nome da meridionale: Donato. Lui odia quel nome, non gli piace e si sente a disagio, ragion per cui decide di farsi chiamare da tutti Walter. Il padre lo denigra, lo mortifica rispetto a una presunta poca virilità, lo bullizza costantemente in pubblico e a tal proposito il futuro assassino dirà:

“Quando mio padre mi denudava davanti alle mie cugine io lottavo, mi attorcigliavo, piangevo e volevo morire di vergogna.”

Ancora, di entrambi i genitori dirà:

“Avevano due cervelli che sarebbero stati dentro un coriandolo.”

Bilancia cresce storto e cresce solo.

I primi problemi con la giustizia sopraggiungono nel 1965 per il furto di un ciclomotore; viene poi arrestato nel 1972 per aver rubato un camion carico di panettoni (che cerca di rivendere davanti a un supermercato) e ancora nel 1974 per porto abusivo d’arma da fuoco a Como. Ancora nel 1978 in Francia per rapina e nel 1981 per un tentato sequestro nell’entroterra di Genova. In merito a queste circostanze racconterà:

“La scuola non mi piaceva, ho smesso. A sedici anni ho fatto il barista, il meccanico, il panettiere. Ma la mia vocazione era fare il ladro.”

In carcere, grazie all’incontro con un altro detenuto che diventerà il suo mentore, si specializza con le serrature, che non hanno più segreti per lui, e comincia a capire come preparare i piani per i furti, messi in pratica una volta fuori dalla prigione. È quello il periodo in cui a Genova si sviluppano le bische clandestine, di cui il futuro assassino diventa un incallito frequentatore. Donato non ha mai lavorato, neppure un giorno: quando non ruba, gioca milioni di lire, e quando deve appianare debiti maturati al tavolo verde, ruba.

Il 19 marzo 1987 accade un evento che sconvolgerà per sempre la sua esistenza: il fratello Michele va a prendere suo figlio di quattro anni a scuola e, con il piccolo Davide in braccio, si getta sotto un treno presso la stazione di Genova Pegli. Bilancia è devastato: toccherà a lui effettuare il riconoscimento dei brandelli di quei corpi che fino a poco prima custodivano l’anima delle persone a lui più care. Le immagini di quello scempio resteranno indelebili, e Donato non riesce a far altro se non attribuire ad Ornella, la cognata, la responsabilità esclusiva di quell’atto inaspettato e terribile. Pare che la donna volesse separarsi dal marito e aveva chiesto ai giudici l’affidamento del bambino tramite il suo legale. Da quel momento svilupperà una incontenibile misoginia, e comincerà a considerare le donne come delle “bagasce”.

I guai giudiziari cominciano: Bilancia viene processato per violenza sessuale ai danni di una prostituta, episodio che conferma il disprezzo nei confronti delle donne. Dopo l’abuso, l’uomo la picchia violentemente e la lascia per strada nel pieno della notte. La donna, in pratica, è trattata come un essere inferiore di cui non aver alcun tipo di rispetto.

Siamo nel settembre 1997: Bilancia è al tavolo di una bisca clandestina e perde come non mai. La cifra è altissima: tra i 400 e i 500 milioni in una settimana. Inizialmente impreca contro la sfortuna, ma poi si rende conto che la mano di una persona ritenuta amica, ha truccato le carte. Quindi lui è il pollo da spennare, lo zimbello da deridere. La ferita dell’inganno sanguina per intere notti passate in bianco. La vendetta apre la strada al coraggio: Walter non è più Walter, diventa la violenza in persona, diventa lo sterminatore.

La prima vittima è Giorgio Centanaro, che si è burlato di lui insieme ad un altro biscazziere, Maurizio Parenti. Dopo tre notti di appostamenti, il 16 ottobre 1997 Bilancia entra nella casa del Centanaro, lo fa spogliare e lo soffoca a mani nude. Le forze dell’ordine archiviano l’episodio come morte per cause naturali: il killer non ha lasciato alcuna traccia. Sarà successivamente lo stesso Bilancia ad autoaccusarsi dell’accaduto. Ma questo è solo l’inizio di una lunga scia di terrore e di sangue. Otto giorni dopo, il 24 ottobre, tocca a Maurizio Parenti e alla moglie Carla Scotto, che vengono freddati con un colpo di pistola alla testa. Il 27 ottobre cadono nel mirino di Bilancia i coniugi Bruno Solari e Maria Luigia Pitto, titolari di un’oreficeria, poi rapinati. Pochi giorni dopo, a Ventimiglia, muore il cambiavalute Luciano Marro, a cui sottrae 50 milioni di lire. Il 25 gennaio 1998 viene freddato il metronotte Giangiorgio Canu. Gli inquirenti indagano, e le morti cominciano a trovare una sorta di collegamento grazie anche alla perizia balistica, che dimostra la presenza della stessa arma usata per tutti gli omicidi. Si intravede un filone unico, anche se apparentemente senza un movente, dal momento che le vittime sono completamente diverse e non hanno nulla in comune. Passato febbraio in sordina, la scia di sangue riprende in marzo. Adesso le prede designate sono prostitute: a Varazze il 19 marzo uccide Stela Truya e il 18 dello stesso mese, a Pietra Ligure, spara all’ucraina Ljudmyla Zubskova. Il 20 marzo rapina e ammazza il cambiavalute Enzo Gorni. Il 24 marzo si apparta con una prostituta transessuale, Lorena, a Novi Ligure. La giovane, compreso il pericolo, cerca di scappare. È in quel frangente che sopraggiungono due metronotte, Massimiliano Gualillo e Candido Randò, freddati con un colpo di pistola alla testa. Bilancia spara anche alla Lorena e, credendola morta, si allontana. Ma lei, gravemente ferita all’addome, riesce a chiamare i soccorsi e poi a fornire un primo, fondamentale identikit dell’assassino. Il 29 marzo tocca ad un’altra prostituta, la nigeriana Tessy Adodo. Il rituale è sempre lo stesso: nessuna esitazione, nessun rimorso. Per quest’uomo gli omicidi sono le mani di un gioco che si fa sempre più frenetico, senza regole e senza movente.

Bilancia ha sete di sangue, non si ferma e, pur sentendosi braccato, continua, ma cambia tipologia delle vittime: il 12 aprile, sull’Intercity La Spezia-Venezia, ammazza Elisabetta Zoppetti, infermiera all’Istituto Nazionale dei Tumori a Milano. Di questo evento dirà:

“In uno scompartimento c’era una donna che io ovviamente non ho mai visto e conosciuto. Ho aspettato che si recasse in bagno, ho aperto la porta con una chiave falsa. Lei ha cominciato a urlare e io le ho messo la giacca sulla testa e ho sparato. L’unica cosa che ho preso è il biglietto, perché spuntava dalla borsa e io non lo avevo perché avevo preso il treno così, senza mete…”

Il 14 aprile uccide un’altra prostituta, questa volta di origine macedone, Kristina Valla, per poi tornare a colpire su un altro treno il 18 aprile, sulla tratta Genova-Ventimiglia, assassinando la babysitter Maria Angela Rubino. Di questo omicidio racconterà:

“L’altro episodio è uguale. Ho visto arrivare la signora, è entrata in bagno e ho aspettato qualche minuto. Poi sono entrato con questa chiave, la solita. Ho preso la giacca, gliel’ho messa in testa e ho sparato. Però qui ho fatto un’azione un po’ particolare…mi sono masturbato. Ho eiaculato nella mia mano e poi mi sono pulito sulla spalla di questa qui.”

È evidente che nelle ossessioni di Bilancia tornano i treni che gli hanno ucciso il nipotino, le donne che hanno tradito il fratello e lo sfacelo dei corpi che ha dovuto vedere.

Il panico diventa dilagante, chiunque può essere oggetto della follia omicida incontrollata e feroce. In quei giorni il presidio delle forze dell’ordine è pressoché totale, ma l’assassino non si ferma: il 20 aprile, ad Arma di Taggia, nell’area di servizio Conioli Sud, rapina e uccide il benzinaio Giuseppe Mileto.

Ma Bilancia ha le ore contate. Quasi per caso, gli inquirenti arrivano a lui a seguito di pedaggi autostradali non pagati. In merito a questo lo stesso killer dirà:

“La notte per me è la parte più bella del giorno. C’è silenzio e te la godi, specialmente quando viaggio in macchina. A me, per esempio, piace giocare con i caselli in autostrada: passo senza pagare, così risparmio. Dopo tutto quello che ho perso alla roulette…”

Le forze dell’ordine si accorgono che l’orario di alcuni dei mancati pagamenti, coincidono con quelli di diversi omicidi. Pedinano Donato e riescono a trovare una corrispondenza del DNA. Ormai è in trappola: l’arresto scatta il 6 maggio 1998 all’uscita dell’ospedale San Martino di Genova. I conoscenti, appresa la notizia, restano basiti: nessuno reputava Donato Bilancia capace di azioni così spietate.

Enrico Zucca, magistrato titolare delle indagini, dirà:

“Non c’è niente di sessuale negli omicidi che lui commette ai danni delle prostitute o delle donne in generale, neppure quando si masturba sul cadavere. Lui vuole fare la parte dell’omicida seriale così come viene descritto nella letteratura o nei film. Quelli che ha di fronte, lui li ritiene incapaci.”

I primi giorni in carcere non parla, ma poi comincia a raccontare ogni cosa ai carabinieri, e lo fa come se avesse compiuto una grande impresa. Ha di sé una visione grandiosa: nella precedente vita si considera un monumentale ladro, successivamente un colossale assassino.

Ma Bilancia non è grande abbastanza da presentarsi davanti ai familiari delle sue vittime, nel tribunale di Genova, dove un anno dopo si apre il processo: è il 13 maggio 1999. La sentenza in primo grado viene pronunciata dopo undici mesi di udienze e cinque ore di camera di consiglio.

Romolo Rossi, ordinario di psichiatria a Genova che lo ha analizzato ai tempi del processo, dirà:

“In Bilancia ci sono elementi anomali, traumi narcisistici, ma non una malattia. E soprattutto la constatazione di come sia spaventosamente facile uccidere una persona che provoca poi quest’andamento finché, addirittura, attraverso questo entra in una nuova rappresentazione del sé.”

Gli psichiatri di lui diranno:

“Più le uccisioni erano arbitrarie, perentorie, senza esitazioni, più il suo senso di onnipotenza cresceva, e con l’onnipotenza il piacere.”

Anche Ilaria Cavo, giornalista che ha seguito tutta la vicenda, esprimerà la sua opinione:

“Donato Bilancia è il male che non ha fino in fondo una spiegazione razionale, o forse la spiegazione è completamente disarmante.”

In carcere “il mostro della Liguria”, così com’era stato definito, affronta non poche difficoltà: è minacciato e aggredito da altri detenuti, ragion per cui l’isolamento passa da tre a undici anni. È questo il momento in cui sente di dover dare una svolta alla propria esistenza, di cambiare radicalmente. Riprende a studiare, fino al diploma di ragioneria nell’anno 2016 e poi il corso di laurea in gestione del turismo culturale all’Università degli Studi di Padova. Comincia anche a fare teatro, che lo aiuta a smaltire il veleno che ha dentro. Si converte. Prega, canta, prova a cambiare vita, forse per fede, forse per stanchezza, forse per azzardo. E ancora, decide di aiutare economicamente un bambino senza famiglia e una mamma con tre figli disabili. All’inizio del dicembre 2020, nel carcere padovano scoppia un focolaio di Covid-19 che contagia detenuti e agenti, e Bilancia è l’unico per cui si predispone il ricovero in ospedale nel reparto di pneumologia. Ma non avendo ottenuto l’agognato permesso premio e accusando i giudici di non aver compreso la sua volontà di cambiare, rifiuta le cure, lasciandosi morire per “non essere più un problema per la società”. Muore il 17 dicembre 2020, dopo 22 anni di carcere, all’età di 69 anni.

Come può un uomo apparentemente normale diventare un assassino? Quanto incidono i comportamenti familiari sulla psiche di un bambino? Quale sarebbe stata la vita di Donato Bilancia se fosse vissuto in un altro contesto? Sarebbe stato comunque un assassino o avrebbe avuto la possibilità di diventare un buon padre di famiglia?

Non lo sapremo mai…

Fabiana Manna

Pubblicato da Fabiana Manna

Salve! Sono Fabiana Manna e adoro i libri, l’arte, la musica e i viaggi. Amo la lettura in ogni sua forma, anche se prediligo i thriller, i gialli e i romanzi a sfondo psicologico. Sono assolutamente entusiasta dell’idea della condivisione delle emozioni, delle impressioni e delle percezioni che scaturiscono dalla lettura e dalla cultura. Spero di essere una buona compagna di viaggio!

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