Leonarda Cianciulli, storia di una serial killer
Quando si parla di assassini e di serial killer, nell’immaginario comune appare la figura di un uomo. Eppure, anche le donne, così come la storia dimostra, sono state artefici di crimini orribili.
Gli studi inerenti al profilo psicologico-comportamentale tendono ad evidenziare alcune differenze tra assassini di sesso maschile e quello di sesso femminile: in primis, le donne, prima di essere scoperte, uccidono per un periodo più lungo rispetto agli uomini (il rapporto è stato stimato di otto anni per le donne e quattro per gli uomini), e il gentil sesso tende a mietere vittime prevalentemente tra persone che conoscono (amici e/o parenti) o appartenenti a categorie più deboli (bambini e/o anziani), mentre gli uomini prediligono persone che non conoscono e che vogliono ridurre all’impotenza per poter manifestare il proprio potere e controllo. Non solo: le donne sono spinte a compiere atti criminali soprattutto per vendetta mentre gli uomini lo fanno prevalentemente per soddisfare pulsioni di natura sadico-sessuale.
Oggi, in particolare, ci occuperemo della donna passata alla storia come la “Saponificatrice di Correggio”, al secolo Leonarda Vincenza Giuseppa Cianciulli.
Ma andiamo per gradi.
Leonarda nasce a Montella, in provincia di Avellino, nell’aprile del 1894. Ultima di sei figli, pare non sia mai stata oggetto di attenzioni amorevoli da parte della madre, perché non desiderata in quanto frutto di una violenza.
Proprio la Cianciulli, nel suo memoriale di oltre 700 pagine intitolato “Confessioni di un’anima amareggiata”, la cui autenticità è dubbia visto che l’imputata aveva frequentato le scuole sono fino alla terza elementare, dirà:
“Ero una bambina debole e malaticcia, soffrivo di epilessia, ma i miei mi trattavano come un peso, non avevano per me le attenzioni che portavano agli altri figli. La mamma mi odiava perché non aveva desiderato la mia nascita. Ero una bambina infelice e desideravo morire. Cercai due volte di impiccarmi: una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l’altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva rivedermi viva. Una volta ingoiai due stecche del suo busto, sempre con l’intenzione di morire, e mangiai due cocci di vetro: non accadde nulla.”
Nel 1917, quando ha 23 anni, contro il volere della sua famiglia, che per lei avevano previsto un matrimonio con un ragazzo che tra l’altro era anche un suo cugino, decide di sposarsi con Raffaele Pansardi. La sua scelta irremovibile scatena le ire soprattutto della madre che pare non solo non partecipi alle nozze, ma addirittura il giorno prima dell’evento, la maledice. Ciò porterà alla rottura definitiva con la famiglia di origine e segnerà profondamente la personalità di colei che diventerà un’assassina.
In seguito al tragico terremoto dell’Irpinia avvenuto nel 1930, i coniugi decidono di trasferirsi a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, al terzo piano di una casa in corso Cavour, numero 11. Durante questo lasso di tempo, Leonarda desidera ardentemente di diventare mamma. Purtroppo per lei, le sue prime 13 gravidanze si concludono con tre aborti spontanei e dieci neonati morti nella culla. La donna attribuisce queste perdite non solo all’anatema scagliatole dalla madre il giorno prima del suo matrimonio, ma anche alla profezia di una zingara che anni prima pare le avesse detto: “Ti mariterai, avrai figliolanza, ma tutti moriranno i figli tuoi.”
Solo dopo l’intervento di una maga locale la Cianciulli porta felicemente a termine quattro gravidanze. Per lei quei figli sono tutto il suo mondo, ed è disposta a proteggerli e a preservarli da tutto e da tutti, a qualsiasi costo. Sempre nel suo memoriale si legge:
“Non potevo sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte sognavo le piccole bare bianche, inghiottite una dopo l’altra dalla terra nera… Per questo ho studiato magia, ho letto libri che parlano di chiromanzia, astrologia, scongiuri, fatture, spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli.”
Gli eventi si susseguono: il marito l’abbandona e, nel 1939, Giuseppe, il figlio prediletto e maggiore, viene chiamato a prestare servizio militare in un momento in cui l’entrata dell’Italia in guerra incombe ogni giorno di più. È assalita dal panico e dalla disperazione: l’unica soluzione che le appare giusta e percorribile è il ricorso alla magia. Si convince che per salvare la vita al figlio deve compiere sacrifici umani. Non resta che agire. Leonarda individua tre donne sole, quasi senza amici e parenti, e soprattutto desiderose di cambiare vita.
La prima vittima è Ermelinda Faustina Setti, settantenne e quasi analfabeta. La più anziana delle sue tre vittime, l’arzilla donna spera ancora di riuscire a trovare l’amore. Detto fatto: la Cianciulli la convince di essere riuscita a trovarle un compagno, un suo amico benestante, a Pola, che all’epoca apparteneva ancora all’Italia.
Alla donna romantica Leonarda riesce a strappare una promessa: non deve far parola con nessuno di questa splendida novità, onde evitare gelosie, invidie e maldicenze. Non solo: si fa firmare una delega per poter gestire i suoi beni e le fa scrivere una lettera da inviare alle sue amiche una volta giunta a destinazione. La Setti varca la soglia della casa di colei che considera una cara alleata il 17 dicembre 1939. Da quel luogo non uscirà mai più. La Cianciulli uccide l’anziana a colpi di ascia, trascina il suo povero corpo in uno stanzino e lo seziona in nove parti, raccogliendo il sangue in un catino. Ancora scriverà nel suo memoriale:
“Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno, lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io.”
La stessa sorte tocca a Francesca Clementina Soavi, che cade nella trappola il 5 settembre 1940, e poi a Virginia Cacioppo, che finisce nel pentolone della Cianciulli il 30 novembre 1940. Di quest’ultima vittima dirà:
“Finì nel pentolone, come le altre due (…); ma la sua carne era grassa e bianca: quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce.”
La cognata dell’ultima vittima, però, trova oltremodo strano la sparizione di Virginia, che vede entrare nella casa della Cianciulli prima che cadesse definitivamente nell’oblio. Decide pertanto, di manifestare i suoi sospetti al questore di Reggio Emilia, che segue le tracce di un Buono del Tesoro della donna scomparsa, presentato al Banco di San Prospero dal parroco di San Giorgio, a Correggio. Convocato dal questore, il prete ammette di aver ricevuto il buono da Abelardo Spinarelli, e quest’ultimo dichiara di averlo avuto a sua volta da Leonarda, per saldare un debito. L’ultima tappa è proprio da Cianciulli, che ammette di aver commesso tre omicidi solo dopo una prova schiacciante: nel solaio vengono ritrovate una dentiera e un mucchio di ossa. A questo punto i sospetti ricadono anche su Giuseppe, ma Leonarda, per preservare il suo pupillo, rivela ogni particolare delle atrocità commesse:
“Le ho uccise io e ho fatto tutto da sola (…). Non ho ucciso per odio o per avidità, ma solo per amore di madre.”
Leonarda Cianciulli è dichiarata colpevole di triplice omicidio, distruzione di cadavere tramite saponificazione e furto aggravato, con la pena di 15.000 lire, trenta anni di reclusione e tre da scontare prima in un ospedale psichiatrico. Dopo la sentenza dirà:
“Che mi importa se la legge mi condanna? Che mi importa d i trent’anni di prigione? Io ho fatto tutto questo per i miei figli, solo una brava madre come me può comprendere. Se qualcuno di voi dovesse perdere tredici figli come è successo a me, farebbe la stessa cosa che ho fatto io.”
Di fatto, la Cianciulli entrerà in manicomio e non ne uscirà più. Morì dopo ventiquattro anni, nel manicomio di Pozzuoli, all’età di 77 anni, per apoplessia cerebrale. Venne sepolta nel cimitero di Pozzuoli in una tomba per poveri. Al termine del periodo di sepoltura, nel 1975, nessuno ne reclamò il corpo e i resti finirono nell’ossario comune del cimitero della città. Una suora del carcere la ricordò in questo modo:
“Malgrado gli scarsi mezzi di cui disponevamo preparava dolci gustosissimi, che però nessuna detenuta mai si azzardava a mangiare. Credevano che contenessero qualche sostanza magica.”
Gli strumenti usati dalla Cianciulli per compiere i tre omicidi sono conservati nel Museo criminologico di Roma.
La mente di questa donna, è stata corrosa dalla follia, o le azioni compiute sono state dettate da una fredda e sadica lucidità?
Oggetto di studi ancora oggi, il caso Cianciulli è entrato a far parte della casistica triste e maledetta dei serial killer e, a prescindere dalle conclusioni degli esperti, non sempre concordanti, lascia ai profani un’unica, triste, amara e unanime consapevolezza: l’essere umano, che dovrebbe essere dotato di raziocinio e buonsenso, indipendentemente dal sesso, può essere capace di compiere abomini reali da cui la fantasia può trarre solo un perverso insegnamento.