Sabato rosso: gli omicidi terribili della storia
Noi serial killer siamo i vostri figli, i vostri mariti, siamo ovunque. E domani ci saranno altri morti…”
Ted Bundy
È il 24 gennaio 1989 quando Ted Bundy viene giustiziato tramite sedia elettrica per una serie mai precisata di omicidi perpetrati ai danni di giovani donne. Una scia di orrore e di morte inspiegabile, se si considera che quest’uomo, a differenza di altri assassini seriali, è di bell’aspetto, è intelligente, ha un lavoro normale e anche un certo prestigio. Lo stesso Ted sostiene di essere cresciuto in un contesto familiare sereno, privo di violenze fisiche e psicologiche, anche se, in merito a quest’ultima circostanza, non pochi conoscenti hanno riferito una versione diversa. E allora cosa avrebbe scatenato la sua sete di sangue? Cerchiamo di ricostruire la sua vita e le dinamiche che probabilmente hanno concorso a renderlo un mostro spietato e senza scrupoli.
Theodore Robert Cowell nasce il 24 novembre 1946 all’Elizabeth Lund Home For Unwed Mothers, un ospedale per ragazze madri, da Eleanor Louise Cowell, a Burlington (Vermont). L’identità del padre non è mai stata determinata con certezza. Per sopire lo scandalo, Eleanor fa credere a tutti che Ted fosse figlio dei suoi genitori, e lei la sorella maggiore. La donna si trasferisce con il piccolo a Tacoma, dove conosce il cuoco John Culpepper Bundy, che sposa nel maggio del 1951 e da cui ha altri quattro figli. A questo punto Ted acquisisce il nuovo cognome anche se, con l’uomo che gli farà da padre, non riuscirà mai a instaurare un rapporto solido. Molto timido da fanciullo, comincia a cambiare radicalmente durante la fase dell’adolescenza, diventando bullo, commettendo furti e partecipando a varie risse. Si lascia sedurre dallo studio, dalla politica e dallo sci, attività che predilige in modo particolare. Si trasferisce all’Università di Washington e qui conosce Stephanie Brooks, una ragazza che proviene da una famiglia benestante, della quale si innamora profondamente. Ben presto la giovane si accorge che Ted non è la persona giusta per lei e lo lascia. Il futuro assassino esce distrutto da questa esperienza, e decide di tornare nella sua città natale. Qui scopre un’altra amara verità: la donna che ha sempre considerato sua sorella, in realtà è sua madre. È investito da una forte depressione che si placherà solo quando riprenderà gli studi universitari seguendo i corsi di psicologia e legge. Riesce a riconquistare Stephanie, per poi lasciarla quando lei si innamora davvero di lui. Una vendetta calcolata: Ted non poteva essere scaricato da nessuna.
Il 1974 segna l’inizio della escalation di orrore: la prima vittima è Joni Lentz, una giovane molto somigliante a Stephanie. Gli amici con cui condivide l’appartamento, straniti del fatto di non aver visto la loro compagna, entrano nella sua camera: la diciottenne giace in una pozza di sangue, e un’asta del telaio del letto è stata usata per colpire Joni in volto e alla testa e poi conficcata profondamente nella sua vagina. La ragazza ormai in coma, sopravvive all’aggressione, ma riporta danni cerebrali e lesioni interne molto gravi.
Meno di un mese dopo l’aggressione di Joni, scompare Lynda Ann Healy, in circostanze misteriose e nei mesi successivi, tra la primavera e l’estate del 1974, almeno altre cinque ragazze spariscono in un triangolo compreso tra gli Stati dell’Utah, Oregon e Washington. Il 17 giugno 1974 viene ritrovato il corpo di Brenda Carol Ball e due mesi dopo i resti di due ragazze, Janice Ott e Denise Naslund. A questo punto, grazie alla testimonianza di Janice Graham, approcciata da un uomo nello stesso modo, le forze dell’ordine riescono a tracciare un primo identikit. Il 18 ottobre tocca alla diciassettenne Melissa Smith, il cui cadavere viene ritrovato vicino a Salt Lake City. La ragazza è nuda, è stata picchiata, stuprata, sodomizzata e strangolata con le sue stesse calze. All’interno della sua vagina c’è sporcizia e piccoli rami. Anche Laurie Aimee subisce la stessa tragica sorte. L’8 novembre Ted compie il primo passo falso: spacciandosi per un poliziotto, riesce a far salire sulla sua auto, una Wolkswagen Maggiolino, la giovane Carol DaRonch. Bundy cerca di ammanettarla, ma la ragazza riesce a scappare, denunciando l’accaduto alla polizia. Poche ore dopo scompare Debbie Kent, che non viene più ritrovata. Spunta un’altra testimone, un’insegnante di nome Raelynn Shelard, che racconta di come fosse stata avvicinata da un uomo che si era finto un poliziotto, ma che lei non ha seguito. Intanto l’assassino si sposta in Colorado, dove scompaiono almeno quattro donne tra gennaio e aprile 1975. Il 16 agosto dello stesso anno, viene fermato dalla polizia stradale che all’interno della sua Maggiolino trova una spranga, un passamontagna, un rompighiaccio e delle manette. Messo in custodia in attesa di una prova definitiva, riesce a scappare per poi essere nuovamente catturato pochi giorni dopo. A fine dicembre del ’77 evade ancora, raggiunge la Florida e entra a far parte del un gruppo studentesco Chi-Omega. Uccide due ragazze mentre dormono, Lisa Levy e Margaret Bowman, di 20 e 21 anni, mordendo ripetutamente i loro corpi. Ne ferisce altre due, Kathy Kleiner DeShielde e Karen Chandler, che se la caveranno con qualche frattura al capo e qualche dente rotto. La stessa notte, Bundy fa irruzione in un appartamento e aggredisce la studentessa Cheryl Thomas, slogandole una spalla e fratturandole la mascella e il cranio: la giovane resterà permanentemente sorda, con danni all’equilibrio che porranno fine alla sua carriera di ballerina. Il 9 febbraio 1978 i genitori di Kimberly Dianne Leach, 12 anni, ne denunciano la scomparsa: il suo corpo sarà ritrovato otto settimane dopo in un parco. Il 15 febbraio, nei pressi del confine dell’Alabama, Ted viene fermato da un agente di polizia: si trova alla guida di un’auto rubata. Viene nuovamente arrestato.
La gente comune resta incredula: uno studente di legge che aveva lavorato per il partito repubblicano, un ragazzo intelligente e tanto a modo non poteva essere il mostro che aveva mietuto tante vittime. Sommando tutte le prove, comprese le impronte dentarie lasciate sui cadaveri, Bundy non può avere più scampo: la sentenza di morte è inevitabile.
Il giudice Edward Cowart pronuncia le seguenti parole durante la sentenza:
“È stabilito che siate messo a morte per mezzo della corrente elettrica, che tale corrente sia passata attraverso il vostro corpo fino alla morte. Prendetevi cura di voi stesso, giovane uomo. Ve lo dico sinceramente: prendetevi cura di voi stesso. È una tragedia per questa corte vedere una tale e totale assenza di umanità come quella che ho visto in questo tribunale. Siete un giovane brillante. Avreste potuto essere un buon avvocato e avrei voluto vedervi in azione davanti a me, ma voi siete venuto nel modo sbagliato. Prendetevi cura di voi stesso. Non ho nessun malanimo contro di voi. Voglio che lo sappiate. Prendetevi cura di voi stesso.”
Poche ore prima dell’esecuzione Ted Bundy rilascia un’intervista che riportiamo qui.
Domanda: Per la cronaca, lei è colpevole di aver seviziato e ucciso molte donne. È vero?
Risposta: Si, è vero.
D.: Ted, torniamo indietro nel tempo, cerchiamo di capire il suo comportamento. Cosa può aver dato origine a tanto dolore, a tanto orrore? Com’è cominciato?
R.: Questa è la domanda principale. Gli specialisti molto più intelligenti di me stanno cercando di analizzare e capire questo comportamento. Da parecchi anni anch’io ci sto provando, ma non mi è rimasto abbastanza tempo per cercare di spiegare e raccontare tutto. Penso di aver compreso, almeno ciò che è successo a me. Ora come ora ho potuto stabilire come certi pensieri e certe idee si siano potute sviluppare in me, fino a portarmi in quello stato dove sono iniziati i miei atti, pensieri molto forti e distruttivi.
D.: Torniamo indietro. Lei è cresciuto in quella che considera una famiglia sana. Non ha subito aggressioni fisiche, non ha subito abusi sessuali, non ha subito aggressioni emotive. Giusto?
R.:No, in nessun senso. Infatti sono cresciuto in un bellissimo ambiente familiare con parenti meravigliosi. Eravamo cinque tra fratelli e sorelle. In casa eravamo il centro per i nostri genitori e andavamo regolarmente in chiesa. I miei genitori erano cristiani, non bevevano, non fumavano, non giocavano d’azzardo, non c’erano liti violente in casa.
D.:La perfezione insomma.
R.:No, non penso che esista, però era una solida famiglia cristiana e spero che nessuno cerchi di scusare, biasimare o accusare la mia famiglia per aver contribuito in qualche modo agli eventi, perché so perfettamente che non è vero. Vorrei cercare di spiegarle com’è potuto succedere: da ragazzo, verso i dodici, tredici anni, andando in giro nei negozi del quartiere, ho scoperto le pubblicazioni pornografiche, alcune recuperate anche tra i rifiuti della nettezza urbana dove si trovavano giornali pornografici molto più duri e aggressivi a livello fotografico di quelli che si possono trovare e vedere nei negozi normali. Vorrei mettere in evidenza i gravi danni che questo tipo di pornografia può provocare. Sto parlando della mia esperienza personale, dura e reale, rovinata da questo tipo di pornografia che definirei violenta, nella quale il sesso diventa violenza e denigra il rapporto matrimoniale. Quando si hanno solamente dodici anni, questa influenza modifica il comportamento in senso negativo, difficile da descrivere.
D.: Ci porti attraverso questo processo. Cosa passava dalla sua mente a quell’epoca?
R.: Non sto accusando la pornografia, e non affermo che sia una ragione per la quale ho fatto ciò che ho fatto. Mi assumo la piena responsabilità delle mie azioni, di tutti i miei misfatti. La questione non è questa, ma quella di far notare come questo tipo di pubblicazioni pornografiche può coinvolgere e ombreggiare il comportamento finale di una persona, di come la pornografia violenta mi ha coinvolto, ha preso possesso dei miei pensieri. All’inizio alimenta un certo tipo di processo, il pensiero inconscio si sviluppa attorno a questa idea di concepire il sesso. Poi l’idea si cristallizza, si trasforma in una seconda entità interiore.
D.: Dunque, da ragazzo andava, come fanno tanti, in cerca di materiale scabroso: film, giornali e poi, a un certo punto, crescendo, ciò non le è più bastato ed è germogliata inconsciamente la voglia di passare ai fatti, di compiere il passo tra il vedere e il fare.
R.: È successo poco a poco, a tappe. Forse non sempre, ma nella mia esperienza personale, tramite un tipo di pornografia, che tratta la sessualità con atti violenti. Poi, quando si diventa dipendenti, sei preso nel vortice, sei spinto a ricercare sempre più dettagli, più durezza, più violenze nelle riviste. È qualcosa che da un senso di eccitazione, come per la droga. Quando arrivi a questo punto, sei pronto per un ulteriore salto. La pornografia può portare così lontano che ci si domanda se praticandola materialmente sarebbe più eccitante che solamente guardarla.
D.: Quanto tempo è rimasto a questo punto, prima di passare effettivamente ai fatti?
R.: È difficile da dire, parliamo di qualcosa di incosciente, parliamo di raggiungere il punto. Penso sia durato un paio d’anni. Questo modo di agire era contrario a un certo tipo di comportamento normale che mi era stato insegnato, che mi era stato inculcato nell’ambiente in cui vivevo, dal mio vicinato, dalla chiesa, dalla scuola. Pur sapendo che questo comportamento è sbagliato, l’ultimo ritegno si scioglie gradatamente al contatto con la pornografia che tenta e mette costantemente alla prova la fantasia.
D.: Ricorda cosa l’ha spinta ad andare avanti?
R.: Sono stato fortemente influenzato dai mass media e dalla pornografia violenta che ho trovato. Ciò ha provocato un cambiamento di comportamento che mi ha avvicinato, mi ha portato allo stupro e all’assassinio. È veramente difficile descrivere le sensazioni di questo momento, sapere che qualcosa scatterà e essere cosciente di non potermi più controllare. Ciò che mi hanno insegnato da bambino non bastava più per fermarmi dal fare del male.
D.: Quello che successivamente si potrebbe chiamare un parossismo, una frenesia sessuale?
R.: Si, è un confondersi, un crescendo di energia distruttiva. Un altro fatto è l’abuso di alcol. Penso che in congiunzione con la mia attrazione verso la pornografia, l’alcol abbia influito sulla mia inibizione. Contemporaneamente, la frenesia provocata dalla pornografia ha fatto il resto.
D.: Ha sempre bevuto prima di compiere un assassinio? Era sempre così?
R.: Si, direi che generalmente era così.
D.: Se ho capito bene, c’era una lotta interiore tra quanto le era stato insegnato, cioè la nozione del bene e del male e questa insaziabile passione alimentata da questo tipo di pornografia violenta. Poi, con l’aiuto dell’alcol, distruggeva le ultime inibizioni, e si lasciava andare?
R.: Si. Ho pensato anche che ci fosse altro che non andava in me, perché chiunque può essere esposto alla pornografia senza compiere qualcosa di male e arrivare dove sono arrivato io (…). La pornografia ha condizionato la mia volontà di comportamento.
D.: Ted, si ricorda quando ha ammazzato per la prima volta? Qual è stata l’emozione che ha provato? Cosa è accaduto nei giorni seguenti?
R.: È difficile da spiegare…era come uscire da una specie di corridoio di stato ipnotico, come in un sogno. Era come essere stato posseduto da qualcosa di orrendo, di tremendo, e l’indomani mattina, svegliarsi in uno stato normale, ricordare ciò che è successo e essere cosciente di essere responsabile e colpevole agli occhi della gente e di Dio. Ero inorridito di essere stato capace di fare una cosa del genere. Prima l’insostenibile urgenza di fare questo tipo di cose, poi la sensazione di essere più o meno soddisfatto e scaricato, e poi ritornavo di nuovo me stesso. Ero una persona normalissima, cioè non ero un ubriacone, non ero pervertito, la gente non mi guardava dicendo “c’è qualcosa che non va in quel tipo”. Avevo buoni amici, vivevo una vita normale, eccetto che per questi piccoli ma tanto importanti segmenti distruttivi segreti, che tenevo chiusi dentro di me, che non ho mai confessato a nessuno. I miei cari familiari e amici sono rimasti traumatizzati e increduli quando sono stato arrestato. Non se lo aspettavano proprio, non riuscivano a crederci. Chi mi osservava, mi considerava un normale ragazzo americano. Non ero perfetto, ma ero ok. Vorrei che la gente capisse che quelli tra noi che sono stati influenzati dalla violenza nei mass media e specialmente dalla violenza nella pornografia, non sono nati mostri. Siamo i vostri figli, i vostri mariti, siamo cresciuti in famiglie normali. Oggigiorno la pornografia può raggiungere e depredare ogni cosa.
D.: Lei prova questo veramente nel più profondo? Lei pensa che la pornografia, sia dolce che violenta, stia provocando danni di cui non si parla e che altre persone stiano correndo il pericolo di essere stuprate e ammazzate nello stesso modo di come ha fatto lei?
R.: Non sono uno scienziato e sono sicuro di niente. Non pretendo di sapere e di aver capito tutto sull’argomento, però vivo in prigione da tanto tempo ormai, e sono in contatto permanente con tipi come me. Tutti, tutti, senza eccezione, hanno avuto a che fare con la pornografia, senza alcun dubbio, senza alcuna eccezione. Tutti sono rimasti profondamente influenzati o colpiti da una certa forma di dipendenza dalla pornografia. Da un’inchiesta svolta dall’FBI sui pluriassassini, risulta senza ombra di dubbio che il loro legame comune è l’interesse per la pornografia, e ciò è vero.
D.: Ted, a cosa sarebbe assomigliata la sua vita senza questa influenza?
R.: Beh, sarebbe stata senz’altro migliore, non solo per me, ma anche per gli altri.
D.: Lei pensa a tutte le vittime e alle loro famiglie? Dopo tutti questi anni, le loro vite non sono tornate normali e non lo saranno mai più. Prova rimorso?
R.: So che la gente mi accuserà di essere pretenzioso, ma ormai mi posso permettere di dire solo quello che penso, che sento. Grazie a Dio sono arrivato al punto in cui, troppo tardi, sono arrivato al pentimento. Mi sento ferito, sento un profondo dolore (…). Solo con l’aiuto di Dio sono riuscito a fronteggiarlo e a non impazzire. Sento il dolore, sento l’orrore di ciò che ho fatto. Posso solo sperare che quelli che ho ferito, ai quali ho provocato tanto tremendo dolore, anche se non credono nel mio pentimento, nel mio rimorso, credano a quello che dico adesso: nella nostra società vi sono persone che come me subiscono la violenza diffusa dai mass media, specialmente la violenza sessuale, che giorno dopo giorno carica gli impulsi delle loro subcoscienze. Questo è il grido di allarme che vorrei lanciare oggi, perché quando parlo di cosa mi è successo venti, trent’anni fa, e vedo oggi quello che trasmette la televisione, la violenza dei film che entra nelle case oggigiorno, mi rendo conto che sono cose che non succedevano venti, trent’anni fa. Ne parlo per esperienza personale. La maggior parte è violenza visiva sullo schermo, specialmente case dove ci sono figli senza sorveglianza e non ammoniti, che possono essere influenzati da questo tipo di film, questo tipo di violenza (…). Al mio tempo c’era solo la radio, ma oggi, se penso alle immagini che entrano nelle case, che basta telefonare, comporre un numero e ricevere qualsiasi materiale pornografico, è tremendo.
D.: Mi può aiutare a capire questo processo distruttivo? Cosa succedeva nella sua mente?
R.: Un senso di declino, lo descriverei con questa parola. Ogni volta che stavo per aggredire, ammazzare qualcuno, sentivo un enorme vuoto, specialmente prima. Dopo orrore, colpevolezza, ma poi gli impulsi, la voglia di ricominciare, ritornavano sempre più forti. Nella vita ero normale, vivevo e provavo colpevolezza, orrore, rimorso, rimpianto. Avevo buchi neri, come uno spacco, una lesione, che mi faceva dimenticare tutto e ricominciare.
D.: Uno degli ultimi e più atroci assassini che ha commesso è stato quello di Kimberly Dianne Leach, una ragazzina di dodici anni. Credo che il cordoglio del pubblico sia più straziante in questo caso… Come si è sentito dopo questo delitto? Ha provato le solite sensazioni? Ha provato dispiacere, Ted?
R.: Non posso parlarne in questo momento, è troppo doloroso. Vorrei poterle rispondere, ma non posso. Non riesco a parlarne. Non posso capire, posso cercare, ma sono cosciente che non riuscirò a capire il dolore dei genitori di queste bambine, di queste donne che ho ferito a morte. Non posso restituire niente, non posso neanche sperare nel loro perdono. Non oso neanche chiederlo. Questo tipo di perdono e di conforto me lo può donare solo Dio. Spero che un giorno anche loro trovino questo conforto.
D.: Merita la punizione che lo Stato le ha inflitto?
R.: È una buona domanda. Onestamente non desidero morire, però merito certamente la massima punizione che la società può infliggere. La società merita di essere protetta da me e da altri come me, questo è certo. Purtroppo in questo Stato questo tipo di violenza lavora: da un lato, giustamente, condanniamo persone che si comportano come Ted Bundy, e poi certi tipi di giornali, di film facilmente accessibili dicono al bambino in strada “fai come Ted Bundy”. Questa è l’ironia. Non parliamo solo di assassinio. Parlo di cosa c’è dietro. Non della condanna e della punizione che la gente mi vuole infliggere, perché non c’è nessuna possibilità al mondo, ammazzandomi, di restituire questi bellissimi bambini ai loro genitori, tornare indietro e calmare i dolori. Se non si fa niente, ci saranno altri ragazzi che verranno ammazzati nella strada, domani o dopo, perché ci sono altri giovani che vengono turbati da queste immagini e letture che oggigiorno vengono distribuite senza ritegno.
D.: Ted, come può ben immaginare, esistono buone ragioni perché lei si trova qui. Non posso garantirle che la gente crederà a ciò che dice. Lei dice di aver accettato il perdono che Gesù Cristo offre a ognuno e che è diventato un credente e un discepolo di Cristo. Riesce a trarne coraggio mentre si avvicinano le sue ultime ore?
R.: Si, potrei dire di essermi abituato all’idea di essere nella valle dell’ombra della morte e che sono forte e imperturbabile, ma non è affatto divertente. È un’esperienza solitaria. Spesso devo ripensare che ognuno di noi deve affrontare questo momento, un giorno o l’altro, in un modo o nell’altro. Milioni di persone ci sono già passate. È un’esperienza che tutti condividiamo.
Il modus operandi di questo criminale consisteva nell’attirare le vittime fingendosi perlopiù disabile o comunque in difficoltà, per poi stuprarle, torturarle e ucciderle. Bundy era solito tornare sul luogo del delitto nei giorni seguenti per abusare sessualmente anche dei cadaveri; a volte truccava i volti, a volte tagliava la testa e la portava a casa prima di buttarla via. Bugiardo seriale, spesso non è stato possibile distinguere il vero dal falso nelle sue innumerevoli dichiarazioni durante i processi. Era molto intelligente, e sapeva comportarsi in modo affascinante, educato e gentile. Dopo vari appelli della difesa, che adduceva alla richiesta di grazia le condizioni mentali del condannato, l’assassino cominciò a confessare nel braccio della morte. Ha ammesso almeno trenta omicidi, alcuni dei quali sconosciuti alla polizia, ma si ritiene che le persone uccise siano molte di più. Non si saprà mai il numero esatto delle sue vittime, perché molti resti non sono mai stati ritrovati.
Tutto questo orrore può essere frutto esclusivo del contatto con la pornografia, anche se estrema? Cosa è realmente scattato nella mente di quest’uomo? Ci sono stati segnali che non sono stati colti? Si sarebbe potuta evitare questa mattanza? Domande sempre senza risposte, che possono solo lasciare l’amaro in bocca e tanto, tantissimo dolore…
Fabiana Manna