Il tempo di un respiro, Pina Varriale

Il tempo di un respiro, Pina Varriale. Ali Ribelli edizioni

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“Ogni gesto che dalla gente comune e sobria viene considerato pazzo coinvolge il mistero di una inaudita sofferenza che non è stata colta dagli uomini.”

Alda Merini

Quante forme può assumere il dolore? Infinite… Spesso sono incomprensibili, inenarrabili, inconcepibili. Non di rado assume i contorni della follia, lasciando che le vittime si affaccino nel baratro della solitudine, della disperazione, dell’alienazione dagli affetti e dalla realtà.

Siamo a Napoli, in pieno periodo fascista. Angela è sposata con Michele, fedele seguace del Duce, ed è madre di Paoletta, una bimba di tre anni e mezzo, dalla salute cagionevole e adottata quando era solo un fagottino indifeso. Un pomeriggio di agosto, mentre il marito esce per recarsi ad un’immancabile adunata del fascio, bussano alla porta di casa ed esortano la donna ad uscire in strada: sua figlia giace a terra, priva di vita.

“La spinsero in avanti, verso la pupattola col vestitino a fiori che giaceva sul selciato, scomposta e con gli occhi spalancati. Dalla pozza di sangue sotto la testa partivano piccoli rivoli che, insinuandosi nei basoli, formavano una specie di ragnatela. Fece attenzione a non calpestare neppure uno di quei filamenti rossi, nonostante le ginocchia le tremassero (…). All’improvviso fu consapevole. Si guardò attorno spaurita, senza riconoscere nessuno. La “cosa” che giaceva lì per terra le aveva parlato con un sussurro inaudibile per gli altri e provocandole un brivido tra le scapole.”

La disperazione colpisce tutti i vicini che nel frattempo sono accorsi: la bimba, presumibilmente, sarà caduta dalla finestra. Un tragico incidente, e il futuro di una giovane esistenza è scaraventato lì, per terra, senza più orizzonti né sogni…

Intanto, ad Aniello Bellucci, responsabile del fascio rionale, sottraggono il figlio Federico dalla culla. Quando accade il crimine, in casa ci sono soltanto la moglie e la donna di servizio. La madre del piccolo, Anna, chiamata anche Nina, inspiegabilmente, sparisce dalla circolazione. Voci riferiranno che è stata internata. È stato il dolore a renderla folle?

“La sua mente precipitava in un abisso da cui risalivano cupi brontolii, voci stridenti che le graffiavano l’anima mettendole i nervi allo scoperto. Le grida, i pianti, le risate sorte senza un motivo perfino nel cuore della notte appartenevano alle sue compagne, donne come lei che all’improvviso si erano trovate lì, private di ogni diritto e derubate anche della dignità. Vagavano seminude per i corridoi, piangevano e ridevano per un nonnulla, si rannicchiavano negli angoli, restavano per ore sedute su una sedia a dondolare il busto con lo sguardo perso nel vuoto. All’apparenza erano tutte uguali, ma un osservatore attento si sarebbe accorto delle differenze: c’erano quelle che si erano smarrite in un limbo nebbioso dove vagavano in silenzio con un sorriso insulso appiccicato sulla bocca, altre che stringevano i pugni e digrignavano i denti atterrite da visioni spaventose e altre ancora, quelle né carne né pesce, che a prima vista parevano normali salvo a saltarti addosso all’improvviso per cavarti gli occhi o graffianti la faccia. Le matte! In quell’inferno dalle mura bianche, circondato da un magnifico giardino, le internate non avevano nome, né passato, né presente. Erano arrivate percorrendo strade diverse, dilaniate da dolori inenarrabili. Erano state madri, figlie, sorelle ma una volta giunte lì non avevano più identità, non possedevano nulla, neppure il loro passato che veniva cancellato con scosse elettriche e farmaci fatti ingoiare con la prepotenza (…). La maggior parte delle recluse stava lì per volontà di un padre, di un marito, di un fratello. Non avevano altra colpa che quella di essere delle donne che avevano cercato, ciascuna a proprio modo, di conquistare un po’ di libertà.”

Per questi eventi nefasti, la città è in subbuglio, e spetta al commissario, Francesco Ambrosino, di fare chiarezza sull’accaduto. Lo stesso Francesco che si era innamorato di Angela tanto tempo prima, e che poi si era allontanato da lei con l’intenzione di servire il Signore, lasciandole rabbia e sconcerto. Lo stesso uomo che, ancora in fasce, era stato abbandonato dai suoi genitori naturali, che lo avevano lasciato a mille domande e a un dolore mai sanato.

Ma il dolore è collettivo, e si amplifica ulteriormente quando viene rinvenuto un altro cadavere, barbaramente ucciso.

“Filippo Romano si trovava in camera da letto: le braccia aperte come un uccello abbattuto in volo, la gola squarciata. Sul muro di lato al settimino qualcuno aveva disegnato col sangue il simbolo della falce e del martello.”

Che fine ha fatto il piccolo Federico? Chi sta macchiando la città di questi crimini efferati? A quali risorse Francesco può attingere per dipanare una matassa che diventa sempre più ingarbugliata?

Tra i bassi, i muri ammuffiti, i panni stesi al sole, le grida dei bambini che giocano per strada, l’azzurro del mare e gli altri infiniti colori di cui si tinge la meravigliosa città partenopea, l’autrice racconta in maniera esemplare stralci di vita costellati da dolori e sofferenze indomabili. L’intensità della narrazione è palpabile sin dalle prime pagine: il lettore viene catapultato in un passato nemmeno troppo lontano, tra stretti vicoli, pettegolezzi e piccole frasi dialettali, perfettamente comprensibili, che aumentano il senso della realtà e della particolare tipicità del luogo. Le tematiche trattate sono onerose, e rappresentano un triste squarcio di vissuto anche, probabilmente, dai nostri antenati. Con rara maestria, la scrittrice si addentra nelle piccole stradine caotiche e, insieme al lettore che si sente quasi accompagnato per mano, si introduce anche nei cuori e nelle anime degli abitanti, evidenziando come quelle tante, tantissime cicatrici mai rimarginate e ancora sanguinanti, possono annebbiare i sensi e trascinare gli uomini a commettere atti abominevoli, e di come la follia autentica, non di rado, sappia travestirsi da innocenza e finto buonismo.

Una lettura straordinaria, cruda, intensa, realistica, che si sofferma molto sulle donne e sulla loro condizione, per alcuni aspetti ancora, purtroppo, attuale, che consiglio vivamente.

Napoli, 1935. È un afoso pomeriggio estivo quando la piccola Paola Marotta precipita dalla finestra della sua cameretta. Il commissario Francesco Ambrosino viene incaricato di svolgere le indagini per accertare le cause della morte della bambina. Un paio di giorni prima, è stato rapito dalla culla il figlio di Aniello Bellucci, segretario del fascio rionale. Il questore Martini incarica Ambrosino di occuparsi anche di questo caso sul quale, tra l’altro, è appuntata l’attenzione di importanti esponenti politici di Roma. Le due storie si intrecciano sullo sfondo di una città piegata dalla povertà, in una narrazione in cui passato e presente si fondono rivelando la tormentata personalità del protagonista. Quando il presunto colpevole della morte del piccolo Bellucci viene finalmente arrestato, per il commissario Ambrosino ci sono ancora molti punti oscuri su cui fare luce e nonostante le forti pressioni politiche per chiudere il caso, l’amore per la giustizia lo porterà a scoprire qual è invece la verità.

Pina Varriale è nata a Napoli. Nella vita ha fatto moltissimi lavori, dall’insegnante alla pittrice ma la sua vera passione è scrivere. Ragazzi di Camorra, pubblicato per la prima volta nel 2007, ha cambiato la sua vita, portandola nelle scuole d’Italia per raccontare i sogni e le speranze dei ragazzi e per parlare di legalità.

Autore: Pina Varriale
Editore: Ali Ribelli Edizioni
Collana: Intrecci
Anno edizione:2023
In commercio dal: 6 gennaio 2023
Pagine: 328 p., Brossura
EAN: 9791255400141


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Pubblicato da Fabiana Manna

Salve! Sono Fabiana Manna e adoro i libri, l’arte, la musica e i viaggi. Amo la lettura in ogni sua forma, anche se prediligo i thriller, i gialli e i romanzi a sfondo psicologico. Sono assolutamente entusiasta dell’idea della condivisione delle emozioni, delle impressioni e delle percezioni che scaturiscono dalla lettura e dalla cultura. Spero di essere una buona compagna di viaggio!

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