L’equilibrio delle lucciole di Valeria Tron, Salani editore
“Le radici non le tagli. Sono elastici con un capo legato al campanile e l’altro intorno alla nostra vita. Più ti allontani, più l’elastico tira, finché diventa fine come corde di violino. Ma non si rompe. Quando è tirato al massimo passa il vento della memoria e questi elastici mandano suoni di ricordi” (Mauro Corona)
Si dice che ogni qualvolta dobbiamo intraprendere un nuovo percorso di vita sarebbe auspicabile chiudere il cerchio di quello precedente; voltare pagina, ricominciare, ripartire. Ma nessun nuovo inizio può avere seguito se questo non avviene partendo da se stessi. Non è semplice e, a volte, il cambiamento può fare paura, ma arenarsi in qualcosa che si sa, a priori, essere giunta al capolinea, altro non fa che privarci di nuovi orizzonti. Per ricominciare spesso occorre, oltre a una grande presa di coscienza e a una buona dose di coraggio, far ritorno dove tutto ha avuto inizio, chiudere quei famosi cerchi e imboccare strade nuove da percorrere con gambe meno incerte e con una consapevolezza e un bagaglio di conoscenza che sono sempre stati lì a portata di mano ma a mancare era la forza per abbandonare il noto doloroso per un’incognita tutta da scoprire.
È ciò che fa Adelaide quando, finita la relazione con Edoardo, decide di tornare alle origini, al paese dove è nata e cresciuta, in Val Germanasca in Piemonte. Qui il tempo sembra essersi fermato. Si ha l’impressione di entrare in un luogo incantato fatto di monti innevati, boschi, lupi solitari in cerca di cibo, uccelli che cantano, camini accesi e odore di legna bruciata, acqua fredda e profumo di pietanze rurali. Qui tutto, a partire dalla lingua parlata ti affascina e ti proietta in un mondo altro costruito su ricordi e usanze appartenenti a un passato, ormai, fin troppo remoto. La lingua, il patois, un mix tra francese e provenzale che evoca una musicalità poetica cui si fatica inizialmente a stare dietro, nonostante la traduzione immediata, ma che si finisce con l’amare e col capirla anche senza particolari sforzi. Non solo, aggiunge quel quid in più a una storia, fatta di tante storie che si intersecano tra di loro in un andirivieni di passato e presente con lo sguardo rivolto al futuro, e che riesce a rapirti fin dalle primissime pagine.
Un romanzo che scava in un passato con radici profonde intrecciate in un angolo di mondo italiano che sembra essere uscito da un libro di favole. Nanà è il simbolo di tutto questo, è la nonna che tutti vorremmo aver o aver avuto accanto, con la sua saggezza, i suoi aneddoti e i suoi insegnamenti. La sua è una vita vissuta tra segreti taciuti in nome dell’amore, sacrifici, forza, fatica, dolori e sogni mai realizzati. Una donna che non si lascia sopraffare dal tempo che passa, dagli acciacchi, tanto meno da quel processo naturale dettato dall’età, che rallenta ogni movimento fisico. È la resilienza fatta persona, Nanà, donna forte, caparbia e volitiva, custode di segreti e tradizioni. C’è un posto per ogni cosa e ogni cosa ha il suo posto all’interno di scatole di latta custodi di memorie fatte di lettere e fotografie, diari, bottoni … detentrici di vita vissuta da non svelare a chi non potrebbe capire. Così come deve rimanere lontana da occhi indiscreti la stanza che le contiene. Lo sgabuzzino delle conserve, delle provviste e dei ricordi di ieri, della vita di oggi e della speranza del domani.
E poi ci sono Gioele, Tricot, Irma, Memè, Lena e Levì … punti fermi nella vita di Adelaide, perché la famiglia non è solo quella che ti viene assegnata alla nascita, ma è soprattutto quella che coltivi nel corso della tua esistenza. Personaggi che pur non tutti in vita, aleggiano nella quotidianità in narrazioni, segreti svelati e riflessioni. Trasuda amore da ogni pagina questo romanzo di esordio di Valeria Tron, amore in senso lato. E c’è Daniele, l’infermiere della struttura che ospita Levì, un uomo delicato, che conosce la delusione e la sofferenza e che entra in punta di piedi nella vita di Adelaide, senza fretta, rispettando i tempi, senza imporsi … perché è questo che dovrebbe fare l’Amore vero, quello che arriva quando non ci pensi o non ci credi più, quando le delusioni hanno blindato cuore, quando sei certa di aver superato l’età per le farfalle nello stomaco, quando l’unica cosa che cerchi è un po’ di tranquillità per ritrovare te stessa e il tuo posto nel mondo, quando sei occupata a dimenticare. Ma lui, l’Amore, non lo sa, e arriva lo stesso, fa come gli pare, entra senza bussare rimettendo tutto in discussione. Qui, dove tutto segue dei tempi che non appartengono alla frenesia del nostro vivere quotidiano, anche l’Amore attende il suo momento, come la natura aspetta le stagioni.
Più ci si addentra nella narrazione più si respira quella vita di quando bastava poco per essere felici, quell’essenziale, non solo materiale, così caro al “Piccolo Principe”. Si è pervasi da odori, colori e sapori antichi conditi da saggezza, equilibrio e attesa.
È difficile continuare a raccontare ciò che rappresenta questo romanzo, la linea di confine che ci separa dallo spoilerare troppo rischia di diventare sempre più sottile. Mi fermo a malincuore perché le cose da dire sarebbero tante. Ti si cuce addosso dall’inizio alla fine, lo devi assaporare piano piano come si fa con un piatto prelibato e, nonostante la frenesia di scoprire contemporaneamente ad Adelaide eventi occorsi, amori taciuti e circostanze dettate dalle “regole” di una società atavica, bisogna fermarsi, chiudere gli occhi, lasciarsi pervadere dall’aria fresca delle Alpi, liberare la mente da ogni pensiero o preconcetto. E ci si rende conto che in fondo, per certe “regole” non esiste il nord o il sud di un Paese, non si tratta di mentalità chiuse o più aperte, ma tutto occorre viverlo nel contesto temporale di una società confinata entro certi spazi del proprio microcosmo.
Li ami i personaggi, tutti, nessuno escluso, ma Nanà è speciale; la “vedi”, la “percepisci”, “senti” i suoi consigli, le sue massime e le sue convinzioni anche dopo aver girato, a distanza di giorni, l’ultima pagina.
È il romanzo della memoria, della famiglia, delle radici, delle donne, dell’amore, dei rimpianti, della sofferenza, delle cose perdute, del non detto, dei sentimenti, delle regole, della vita, della morte e della rinascita.
Scorrevole, ben scritto, colto, impeccabile dal punto di vista editoriale, coinvolgente, ti fa ridere e ti fa piangere. Un romanzo da leggere e rileggere, da tenere a portata di mano per aprirlo e respirare l’essenza della vita, quella di cui abbiamo dimenticato il profumo e l’esistenza.
Complimenti all’autrice per questo splendido esordio e con l’augurio che possa essere il punto di partenza per una brillante carriera letteraria.
Teresa Anania
Ogni punto di partenza ha bisogno di un ritorno. Per riconciliarsi con il mondo, dopo una storia d’amore finita, Adelaide torna nel paese in cui è nata, un pugno di case in pietra tra le montagne aspre della Val Germanasca: una terra resistente dove si parla una lingua antica e poetica. È lì per rifugiarsi nel respiro lungo della sua infanzia, negli odori familiari di bosco e legna che arde, dipanare le matasse dei giorni e ricucirsi alla sua terra: ‘fare la muta al cuore’, come scrive nelle lettere al figlio. Ad aspettarla – insieme a una bufera di neve – c’è Nanà, ultima custode di casa, novant’anni portati con tenacia. Levì, l’altro anziano che ancora vive lassù, è stato ricoverato in clinica dopo una brutta caduta. Isolate dal mondo per quattordici giorni, nel solo spazio di quel piccolo orizzonte, le due donne si prendono cura l’una dell’altra. Mentre Adelaide si adopera per essere utile a Nanà e riportare a casa Levì, l’anziana si confida senza riserva, permettendole di entrare nelle case vuote da tempo, e consegnandole la chiave di una stanza intima e segreta che trabocca di scatole, libri ricuciti, contenitori e valigie, in cui la donna ha stipato i ricordi di molte vite, tra uomini, fiori, alberi e animali, acqua e tempo. Una biblioteca di esistenze, di linguaggi, gesti e voci, dove ogni personaggio è sentimento, un modo di amare. Fotografie, lettere, oggetti che sanno raccontare e cantare il tempo: di guerra e povertà, amori coltivati in silenzio, regole e speranza, fatica e fantasia. Un testamento corale che illumina le ombre e le rimette in equilibrio. La bellezza intensa che respira oltre la vita e rimane in attesa di parole. Tuffarsi nella memoria significa avere il coraggio di inventare un altro finale e vivere oltre il tempo che ci è stato concesso, per ritrovare il luogo intimo di ognuno. La casa.
AUTORE: Valeria Tron
TITOLO: L’equilibrio delle Lucciole
EDITORE: Salani
COLLANA: Le Stanze
USCITA: 01.06.2022
PAGG.: 400 – Brossura
EAN: 9788831008075
PREZZO: €.18,00
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