Oro puro, Fabio Genovesi. Mondadori editore
“Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile.”
Ryszard Kapuscinski
Siamo tutti fatti di materia, di sangue e di brividi, di follia e passione, di lezioni imparate e quesiti irrisolti. E di ricordi. Tanti ricordi, che rappresentano un porto sicuro ma anche tormento, e sono una carezza per l’anima ma non di rado lasciano l’amaro in bocca. Soprattutto quando il tempo sta per scadere e la fine si avvicina… Ed è ciò che capita a Nuno, protagonista non solo degli avvenimenti della sua vita, ma personaggio di spicco anche in una vicenda che ha cambiato per sempre il corso della Storia dell’intera umanità.
Nuno è figlio di una donna bellissima, che di mestiere aveva scelto di fare la meretrice. Ma dopo l’arrivo del bambino, decide di cambiare, scegliendo un lavoro più onesto e consono al suo stato di madre: scrive lettere per i marinai che hanno nostalgia di casa, e sentono il bisogno di comunicare con quegli affetti lontani, la cui mancanza è forte e indomabile.
“Le persone vengono a raccontarci cos’hanno dentro, così noi lo mettiamo sulla carta per loro. Però non riescono a dirlo, forse non lo sanno nemmeno. Tocca a noi andare a prenderglielo nell’anima. Infatti, più che di mani e occhi, scrivere è un lavoro del cuore. Del cuore e del respiro. La mano che tiene la penna arriva solo alla fine, e se nel respiro hai tutto quel calore che vuole uscire, impari in un attimo. Se non ce l’hai, non imparerai mai.”
Quello in cui vive Nuno, è un periodo storico molto delicato e complesso: i re cattolici, Ferdinando e Isabella, vogliono che tutti in Spagna si convertano al cristianesimo. Chiunque decidesse di opporsi al loro volere, è costretto ad allontanarsi da quella terra, o morire. E così quel giovane ragazzo, il venerdì 3 agosto 1492, con il cuore in tumulto, si allontana dalla sua casa natale, sale su una caravella, la Santa Maria, e si avvia verso un futuro incerto e affatto sicuro.
“…Quel mattino di agosto ero uscito di casa prima dell’alba. Avevo sedici anni e mezzo, un sacco quasi vuoto in spalla, il mare e il cielo e una vita davanti, ma a ogni passo morivo. Perché tanti pensano che la cosa più triste sia andarsene per sempre e dire addio alle persone che ami, ma è molto peggio voltarti indietro, un attimo prima di sparire, e non avere nessuno da salutare. La mamma, infatti, se n’era andata prima di me, ormai da un anno. La sera si è addormentata, e il mattino dopo non si è svegliata più.”
Con il peso del suo dolore, Nuno, che non si è mai mosso da Palos, inizia il suo viaggio verso l’ignoto, chiedendo lumi agli uomini che condividono gli stessi suoi spazi, navigati e naviganti.
“Di solito si va su o giù, verso le Fiandre e l’Inghilterra, l’Africa o il Mediterraneo, ma sempre lungo la costa. E se ci sbagliamo, se pensiamo di essere in un posto, prima o poi si può dare un’occhiata alla costa e dire Ah, ma pensa, non siamo qua, siamo là. Stavolta invece no. Stavolta la costa non c’è, siamo in mezzo al Mare Tenebroso, non ci sono terre né riferimenti. Ogni sera facciamo i nostri conti per capire dove siamo, e lo segniamo sulla mappa. Però è una mappa vuota, e noi siamo un puntino in quel vuoto. Se sbagliamo un giorno, non possiamo saperlo, così il giorno dopo sbagliamo di più, e quello dopo ancora di più…”
Per uno strano segno del destino, il Capitano Cristoforo Colombo convoca quel giovane strambo, e scopre che ha una dote inaspettata: sa leggere e scrivere. E questo fa sì che i due spesso si incontrino, e scambino pensieri e chiacchiere. Nuno si ritrova ad essere testimone dei racconti e anche dei deliri di un uomo che ai suoi occhi appare straordinario e pieno di risorse. E poi, finalmente, dopo circa due mesi, avvistano la terra. E tutto si manifesta. Nel bene e nel male…
“Allo stesso modo ero felice io, perché in quel momento non potevo immaginare che, portandoci in salvo su quella costa, la mano di Dio aveva condannato molti altri, moltissimi di più. Uomini, donne, bambini, famiglie e villaggi, popoli interi. Tanti che un numero del genere non dovrebbe esistere, per contare i morti. Non chiedersi niente, non sapere niente, è così che per un attimo si rischia di essere davvero felici. Il silenzio di Dio è profondo, impossibile da comprendere. Ma quando parla, anche peggio (…). Ma in quel momento nemmeno io, che parlavo la loro lingua e conoscevo le bandiere della Corona e della flotta, potevo capire cosa stavano facendo: eravamo partiti per trovare l’Oriente, presentarci a quel popolo nobile e potente e con umiltà tentare di commerciare con loro. Che senso aveva scendere a terra e prenderne ufficialmente il possesso?”
La natura umana, quella vera, non tarda a manifestarsi, lasciando Nuno esterrefatto, con i suoi infiniti perché. Di fronte a quegli esseri che abitavano tranquillamente quelle terre meravigliose, pacifici e remissivi, l’avidità occidentale comincia presto a palesarsi, gettando le radici del male…
“…E mi sentivo orribile, schifoso, peggio dei miei compagni arrivati fino all’Oriente per inginocchiarsi ai Signori del Catai, ma avendo trovato gente semplice e senza eserciti avevano iniziato a prendersi tutto. Oro, piante, sassi, animali, uomini e donne (…). Gli indiani correvano ad adorarci perché ci credevano Dèi scesi dal Paradiso, ma in una specie di Paradiso erano nati loro. E noi c’eravamo arrivati per caso. Cercavamo una ricchezza grande e raffinata a cui inchinarci mendicandone un pezzetto, ne avevamo trovato una diversa, libera e smisurata, che si dava tutta intera a chiunque si fosse fermato lì. Ancora oggi ci ripenso, e il Paradiso torna a luccicarmi negli occhi come in quei giorni lontani, in cui senza volerlo c’eravamo capitati davanti, e potevamo tuffarci nella sua luce lavandoci via di dosso secoli di guerre, stragi, piaghe e malattie, di violenza, odio e carestie.”
E ciò che ha rappresentato una scoperta incredibile e unica, ha mietuto anche innumerevoli vittime innocenti, caduti nell’oblio del progresso e della brama dell’espansione territoriale.
“…Finita la loro lingua, gli Dèi, le storie, le leggende, i giorni di festa e quelli normali, i balli nella notte e il lavoro di giorno nei grandi campi coltivati che dipingevano ogni valle di frutta e verdura. Tutto finito, tutto abbandonato, tutti nel buio delle miniere a scavare, a spaccare, a morire. Per la fatica o la frusta, la spada, la lancia, la mazza, i cani addestrati a sbranare. Ma soprattutto per le nostre malattie, ridicole per noi che veniamo da secoli e secoli di sudiciume, mentre per loro erano identiche agli uomini bianchi: incomprensibili, letali. I pochi che non morivano si uccidevano da soli, i figli dopo i padri, le mamme dopo aver messo i loro bambini a dormire per sempre. Perché tremenda era la colpa di averli portati al mondo in un mondo così atroce, e l’unica peggiore sarebbe stata lasciarceli.”
Una lettura straordinaria, che ho portato a termine con avidità in pochissimo tempo. Una storia emozionante, intrisa da una moltitudine di sentimenti, dove l’essere umano si palesa in tutta la sua essenza, amore in primis. Unico elemento realmente puro. Più dell’oro…
“Per questo non lo capiremo mai, l’amore, perché non ha alcun senso. È una prigione che ti rende felice, una catena che ti rende libero, un peso al collo che ti permette di volare. Qualcosa di incomprensibile che però accade, più forte di tutto l’enorme piatto buon senso, di tutte le prudenze e le convenienze, i progetti e le abitudini quotidiane.”
L’uomo e i suoi abissi, profondi e imperscrutabili, si trovano qui, in questo meraviglioso romanzo…
“Eppure nella loro struggente dolcezza, le carezze non ti insegnano niente, e le cose più importanti le impari solo con gli schiaffi. Soprattutto quando ti arrivano improvvisi, forti e pieni in faccia, a piantarti le loro lezioni nel profondo.”
“Le cose importanti non iniziano mai davvero, così come mai davvero finiscono. Prima di esserci, in qualche modo c’erano già, e in qualche modo resteranno per sempre.”
Palos, Spagna, agosto 1492. Nuno ha sedici anni, ed è un granchio. O almeno questo è il soprannome che gli ha dato sua madre, morta pochi mesi prima, di cui Nuno conserva un ricordo che è dolore e luce insieme. Pur vivendo sul mare, Nuno non ha mai desiderato solcarlo, e preferisce guardarlo restando aggrappato alla terra, proprio come fanno i granchi. Finché, per una serie di circostanze tanto sfortunate quanto casuali, deve imbarcarsi su una nave di cui ignora la destinazione. Si tratta della Santa María, a bordo della quale Cristoforo Colombo scoprirà – per caso e per sbaglio – il Nuovo Mondo. Mentre Nuno si renderà conto, lui che di navigazione non sa nulla, di condividere lo smarrimento coi suoi compagni molto più esperti: tutti spaventati da quell’impresa folle e mai tentata prima. Avendo imparato dalla madre a leggere e scrivere, Nuno diventa lo scrivano di Colombo, e trascorrendo ore ad ascoltarlo sente crescere l’entusiasmo per i grandi sogni di questo imprevedibile esploratore visionario. Attraverso lo sguardo di Nuno, percorriamo il viaggio più importante della storia dell’umanità: i giorni infiniti prima di avvistare terra, fino alla scoperta di un mondo nuovo, una nuova umanità, una nuova, diversa possibilità di intendere la vita. In questo Paradiso Terrestre, Nuno imparerà quanta ferocia, quanta avidità possa motivare le scelte degli uomini, ma anche la forza irresistibile dell’amore, che lo travolgerà fino a sconvolgere i suoi giorni e le sue notti.
In questo romanzo, Fabio Genovesi non solo ci racconta la navigazione di Colombo come mai è stato fatto prima, ma ci cala dentro una grande avventura umana, esistenziale e sentimentale, che si snoda attraverso imprese, amori, crudeltà spaventose e improvvise tenerezze, svelandoci come dietro la scoperta occidentale delle Americhe si nascondano violenze, soprusi e malintesi, ma soprattutto l’insopprimibile, eterno istinto degli uomini a prendere, consumare e distruggere tutto, persino se stessi.
Fabio Genovesi è nato e vive a Forte dei Marmi. Dopo l’esordio con due libri ormai di culto, Morte dei Marmi e Versilia Rock City, ha conosciuto un successo via via crescente con i romanzi Esche vive, Chi manda le onde (premio Strega Giovani), Il mare dove non si tocca, Cadrò sognando di volare e Il calamaro gigante. È la voce “culturale” delle telecronache Rai al Giro d’Italia, collabora con il “Corriere della Sera” e il suo settimanale “la Lettura”.
Titolo: Oro puro
Autore: Fabio Genovesi
Editore: Mondadori
Genere: Narrativa Contemporanea
ISBN: 978880477356
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