Storia della tortura – Strumenti e metodi utilizzati dall’antichità ai tempi nostri, Giovanni Laterra. Rusconi editore
“Winston, come fa un uomo a esercitare il potere su un altro uomo?“
Winston rifletté.
“Facendolo soffrire”, rispose.
George Orwell
La Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata il 10 dicembre 1984 ed entrata in vigore il 27 giugno 1987, nel primo articolo recita:
“Ai fini della presente Convenzione, il termine “tortura” indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti a una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate.”
Come risulta essere ben evidente, solo da pochi decenni esistono leggi che bandiscono alcune pratiche utilizzate da millenni, a tutela di tutti gli esseri umani in quanto tali. Chi, suo malgrado, è incappato in questo esercizio di prassi aberranti, di cui si è avvalso, a seconda del periodo, il potere civile o religioso, ha visto spalancarsi dinanzi le porte dell’Ade, su questo pianeta. Ma come si è arrivati a tutto questo?
“È sempre la solita domanda che ricorre da tempo immemorabile: l’essere umano è fondamentalmente buono oppure inesorabilmente cattivo? Probabilmente non esiste una sola risposta o, meglio, essa dipende da luoghi e momenti storici differenti, da essere umano a essere umano. Il tema della tortura può affascinare o generare repulsione e orrore: in ogni caso non fa rimanere indifferenti (…). Sarà forse perché in fondo in fondo il male, pur rifuggendolo nella parte razionale e predominante del nostro essere, ci affascina.”
Ma cosa si intende per tortura e perché si fa ricorso a questa pratica?
“Va riconosciuto che il termine tortura viene usato spessissimo in maniera generica e capita, immancabilmente, di darne una definizione o troppo ampia o troppo ristretta. Nel linguaggio comune per tortura si intende una sofferenza fisica o morale, insopportabilmente prolungata, inflitta allo scopo di estorcere confessioni o dichiarazioni. Pratica che si ritiene possa risalire alle origini della nostra specie (…). Ciò per enunciare il banale principio che infliggere dolore per ottenere forzatamente un qualcosa è un’ “attività” che probabilmente ha accompagnato l’essere umano in tutta la sua storia, che ci piaccia o meno. È comunque altrettanto vero che il gruppo sociale prima e la società poi abbiano fatto di tutto per isolare e reprimere coloro che si dedicavano a tale riprovevole pratica. Il dramma dell’umanità è che a un certo punto a qualcuno è venuta l’idea che la pratica di cui sopra, regolamentata e delegata ufficialmente a precisi funzionari investiti del potere di farne uso, fosse accettabile e proficua se utilizzata per tutelare la società nel suo insieme o gli interessi del gruppo dominante. In quel momento la tortura è entrata a far parte dei sistemi giuridici e ha assunto una connotazione e una finalità ben precisa. Con essa si intende l’insieme di procedimenti il cui scopo è estorcere a un imputato, contro la sua volontà e ricorrendo a ogni tipo di coercizione fisica, psicologica o morale, una dichiarazione volta a consentire al giudice l’accertamento della verità (…). Il supplizio non era mai lasciato all’arbitrio sadico e folle del singolo individuo, ma ben codificato. In teoria. La pratica era spesso tutt’altra cosa.”
Da vari studi e ricerche, si evince come nel corso della storia questo processo si sia “evoluto”, fino ad arrivare ai nostri giorni.
“Gli egizi ricorrevano sì alla tortura, ma sempre come pena e mai come mezzo per raggiungere la verità processuale (…). Gli Assiri o nell’antica Grecia, in linea di massima le torture erano riservate solo agli schiavi e così anche nella Roma imperiale, anche se quest’ultima, con il passare del tempo, ha modificato non poche volte le leggi che regolamentavano questo tipo di ‘giustizia’ (…). Per i popoli di origine germanica il sistema della tortura era estraneo (…). Nel diverso clima culturale che segnò la fine del Duecento e i secoli successivi, con la riscoperta del mondo classico, del diritto romano e delle sue codificazioni, si affermò l’importanza del processo inquisitorio accanto a quello accusatorio. In questo quadro, per quanto illogico e aberrante possa sembrare, la tortura apparve il sistema più razionale e certo per acquisire delle prove. Il risorgere della tortura è un fenomeno che interessò tutto il continente europeo: dalla Penisola iberica alla Francia, dall’Italia alla Germania e così via.”
Un’attenzione particolare, degna di un approfondimento più dettagliato, riguarda un periodo specifico, che contempla la nascita e l’espansione dell’Inquisizione, cui tutti pensiamo quando si tratta questa tematica agghiacciante e oscura.
“Inquisizione, ‘nobile’ istituzione di Santa Romana Chiesa per la difesa della Fede. L’apparentamento è senz’altro giustificato e raccapricciante, soprattutto in relazione agli scopi per cui uomini di Chiesa la praticavano in nome di Dio, dimenticandosi senza soverchi traumi del Dio caritatevole che pur dovevano conoscere. Ma la Santa Inquisizione non aveva certo il monopolio della tortura e del supplizio, essendo queste pratiche comuni ai sistemi giudiziari sia laici sia di altre confessioni religiose. L’abitudine che prese piede rapidamente nel territorio dell’Impero romano di torturare i cristiani pose qualche problema ai giureconsulti latini, perché la pratica veniva applicata al di fuori dai canoni stabiliti dalla tradizione giuridica. Lo scopo non era più quello di estorcere una confessione ma di costringere a rinnegare la propria fede, compiere sacrifici alle divinità romane e osservare le leggi imperiali(…). Per circa un millennio, sino all’altro Medioevo, la Chiesa aveva preso partito di osteggiare il ricorso alla tortura (…). L’ingresso ufficiale di questa poco caritatevole pratica nell’ordinamento giuridico della Santa Sede si può far risalire alla bolla papale ‘Ad extirpanda’, con la quale Innocenzo IV, nel 1252, stabiliva che i sospetti in odore di eresia fossero sottoposti a torture dai magistrati civili (…). Nell’arco di dieci anni l’Inquisizione si andò diffondendo in tutta Europa tranne che in Inghilterra (…). L’inquisitore, che aveva la competenza su un ben determinato territorio, apriva l’inchiesta con una predicazione con la pubblicazione di due editti. Il primo, l’editto di fede, era rivolto a tutti i fedeli e li obbligava, pena la scomunica, a denunciare gli eretici e i loro complici. Il secondo, quello di grazia, era invece direttamente rivolto agli eretici e li invitava a ritrattare entro un dato termine, scaduto il quale sarebbero inesorabilmente caduti sotto la giurisdizione dell’Inquisizione. L’eretico che avesse fatto atto di pentimento poteva cavarsela con una pena canonica: in genere pellegrinaggi, digiuni, assistenza agli uffici divini. Invece, nel caso di perseveranza nel suo crimine, era sottoposto a un interrogatorio allo scopo di fargli confessare l’eresia, durante il quale si poteva fare ricorso all’uso della forza (…). Dal 1252, l’orrore si accentuò e da lì a poco la gestione del procedimento venne affidata direttamente a tribunali creati ad hoc, la cui procedura fu disciplinata ai primi del Trecento da Papa Clemente V (…). L’Inquisizione raggiunse perfettamente lo scopo per cui era stata concepita e nel corso del Duecento riuscì a debellare le eresie catare e valdesi. Visto il successo raggiunto, essa fu utilizzata successivamente per combattere altri movimenti che in qualche modo potevano mettere in discussione il primato della Chiesa e con esso l’ordinamento su cui si basavano tutte le società europee. Dopo un periodo di appannamento intorno al XV secolo, il diffondersi delle dottrine luterane e calviniste, più pericolose delle vecchie eresie, spinse Papa Paolo III a dare, nel 1542, nuova linfa all’Inquisizione dipendente da Roma e a rimodellare a somiglianza di quella spagnola che all’epoca stava dando prova di grande efficienza. Fondata nel 1479 da Ferdinando d’Aragona e da Isabella di Castiglia, approvata da Papa Sisto IV, l’Inquisizione spagnola era strettamente controllata dallo stato in un momento fondamentale della storia della penisola iberica. Il matrimonio tra Ferdinando e Isabella, passati alla storia come i re Cattolici e per aver dato ascolto a Cristoforo Colombo, comportò l’unione dei rispettivi rami e fu all’origine della formazione del regno di Spagna (…). L’Inquisizione diventò un potente strumento nelle mani dei sovrani per rafforzare con l’aiuto della Chiesa il loro potere. Il pericolo presunto proveniva dagli ebrei (marranos) e dai musulmani (moriscos) convertiti, forzatamente, alla fede cattolica. La loro fedeltà al nuovo credo evidentemente generava qualche dubbio se si pensò, oltre che a torturarli, a espellerli dalla terra iberica. Da qui una breve escalation nelle competenze degli inquisitori: lotta al protestantesimo, all’eresia, alla stregoneria, alla speculazione delle chiese, alla sodomia, alla poligamia, sino alla caccia agli assassini (…). Il primo e il più famoso inquisitore fu il frate dominicano Tommaso de Torquemada, che diresse l’Inquisizione di Spagna dal 1483 al 1498 e che si distinse per aver mandato al rogo, secondo alcune stime, circa duemila persone. Si calcola che durante i tre secoli e mezzo di attività dell’Inquisizione, il numero totale delle vittime assommi a trentamila.”
Ovviamente, la stregoneria, è stata una delle motivazioni maggiormente usata per giustificare abomini che a stento si possono immaginare e di cui non è semplice nemmeno parlare.
“L’accanimento contro la stregoneria, oltre a essere la testimonianza del lungo cammino che il razionalismo ha dovuto percorrere prima di affermarsi (anche se ancora non del tutto), è stato uno dei campi di battaglia che più ha impegnato gli apparati inquisitori. Del mondo cattolico come di quello protestante, del vecchio continente come delle Americhe (…). I verbali dei processi sono la testimonianza della barbara ignoranza che attribuiva poteri demoniaci a donne spesso povere, talvolta malate di mente, altre volte depositarie di segreti che oggi farebbero la gioia di un qualsiasi erborista, altre volte ancora semplicemente portatrici di comportamenti che la mentalità dell’epoca non comprendeva e ancor più non accettava.”
Con quale scopo nasce la tortura? Apparentemente, non solo per soddisfare smanie sadiche e diaboliche.
“La tortura era un mezzo e non un fine. L’imputato doveva confessare e per farlo bisognava fosse non solo vivo, ma anche in condizioni di parlare con una dose, seppur minima, di lucidità. Anche se il fine fosse stato l’esecuzione di una sentenza capitale, a seconda del sistema sancito dal giudice, la morte doveva sopraggiungere non repentina: una morte rapida e indolore del condannato non sarebbe stata di alcun monito per il volgo.”
A questo punto l’autore fa una carrellata dei sistemi di tortura. Ne citerò diversi, soffermandomi su qualcuno nello specifico.
CROCE: alla crocifissione spetta il merito di essere uno dei metodi più antichi, storicamente accertati, in grado di unire il supplizio alla pena di morte. In uso già presso i persiani e i cartaginesi, era molto in auge tra i romani, che la utilizzavano per schiavi, disertori, banditi e ribelli. Si trattava di uno strumento di legno unito orizzontalmente ad uno verticale più lungo conficcato a terra. Di solito il palo verticale aveva una sistemazione permanente in un posto scelto appositamente come ‘luogo del supplizio’. La croce assunse varie forme a seconda del popolo dell’epoca: latina con il braccio verticale più lungo di quello orizzontale, greca a bracci uguali, decussata o di Sant’Andrea a forma di X (…). I piedi, che stavano a una certa distanza da terra, venivano inchiodati al palo e poteva succedere che, per maggior sicurezza, venissero inchiodate anche le gambe. Il chiodo, che era grosso e lungo, veniva fatto passare attraverso il collo e la punta del piede. La morte era lenta dopo un’agonia indescrivibile. Si trattava di una tortura che durava alcuni giorni e che, qualche volta, veniva prolungata con la somministrazione di cibo e acqua alla vittima. Si poteva aumentare la sofferenza in cento modi, ad esempio con qualche colpetto di frusta o con la punta di una lancia sul costato. Anche se non molto praticata una volta dissoltosi il mondo romano, la crocifissione continuò a esistere per secoli e uno degli ultimi casi documentati si verificò in Francia nel 1127.
IMPALAMENTO: molto in voga nell’impero Ottomano, non fu disdegnato nemmeno nell’Europa orientale e settentrionale. Cambiavano però gli stili. Presso i Turchi il sistema più in uso era quello di infilzare i malcapitati da sotto in su (entrando dalle parti dell’ano e uscendo dalla scapola); presso gli europei, soprattutto tra quelli di lingua tedesca, il palo abitualmente veniva conficcato all’altezza dell’ombelico per spuntare nella schiena dalla parte opposta, o viceversa (…). Lo strumento era costituito da un palo acuminato, dritto e abbastanza sottile. La bravura del boia consisteva nell’attraversare il corpo evitando di ledere gli organi vitali.
SQUARTAMENTO O SMEMBRAMENTO: l’esecuzione più conosciuta consisteva nel legare una grossa fune alle membra della vittima, sia all’altezza del polso e del gomito, sia del ginocchio e dei piedi. Le funi erano poi assicurate a una grossa sbarra di legno o di metallo che a sua volta veniva legata a dei cavalli, singoli o in coppia, per ogni estremità della vittima. Poi li si obbligava a dare dei piccoli strattoni allo scopo di costringere lo “stirato”, a causa dell’intollerabile sofferenza, a invocare pietà. Quando i carnefici si ritenevano soddisfatti, frustavano gli animali simultaneamente incitandoli a muoversi con decisione in direzioni opposte, in modo da fare a brandelli il condannato. Qualche volta il corpo della vittima opponeva resistenza, nel qual caso i carnefici finivano il lavoro facendolo a pezzi con delle accette. Il supplizio poteva protrarsi per ore (…). Un altro metodo, anziché alla forza animale faceva ricorso a quella degli alberi giovani. Gli arti inferiori del condannato venivano divaricati e legati a due piante in precedenza piegate facendo ricorso a robuste funi. Arrivato il momento dell’esecuzione il carnefice riceveva il segnale, le funi venivano liberate, gli arbusti riprendevano la loro posizione naturale, i pezzi del condannato li seguivano.
SCHIACCIATESTA: aveva come parte superiore una calotta per meglio avvolgere la testa e compiere il lavoro nel miglior modo possibile. Il mento veniva fatto poggiare sulla base e la calotta, abbassata dal vitone, prima accoglieva la testa e poi la comprimeva sempre più. Se il “torchiato” non si decideva a parlare prima partivano i denti, poi le mascelle e via via le altre ossa facciali e del cranio.
PERA: si trattava di uno strumento meccanicamente raffinato e dagli effetti devastanti sull’organo genitale femminile o sulla parte terminale dell’intestino retto. Si trattava di un guscio di metallo a forma di pera, costituito dall’unione in senso longitudinale di due o tre parti incernierata a una ghiera filettata attraverso la quale passava una grossa vite. La coda era incernierata e delle barrette ciascuna delle quali a sua volta incernierata a una delle parti che costituivano il guscio. Girando la testa, il corpo della vite cominciava a penetrare all’interno del guscio e il movimento costringeva, attraverso le barre che funzionavano da leve, le sue pareti a divaricarsi. Siccome la pera era stata preventivamente infilata dentro una vagina, un ano o una bocca, le pareti della parte anatomica interessata al trattamento venivano dilaniate. Le pere avevano dimensioni diverse a seconda della loro destinazione.
VERGINE DI NORIMBERGA O VERGINE DI FERRO: se le copie attualmente in circolazione fossero effettivamente simili all’originale perduto, si tratterebbe di una sorta di sarcofago di legno ricoperto da una lamina di ferro modellata per ricordare le sembianze di un volto femminile. La parte anteriore era costituta da due porte che facevano da supporto ciascuna a un gruppo di lame; altre lame erano fissate nella parte posteriore interna. Tutte le lame erano disposte in modo da poter trafiggere il malcapitato che vi fosse stato rinchiuso (…). La struttura veniva posta con la parte anteriore in prossimità di una botola aperta e così la vittima, una volta sciolta dall’abbraccio mortale, sarebbe piombata in una buca da dove poi si sarebbe provveduto a farla sparire.
CANDELA STREGATA: la presunta strega veniva sdraiata supina su di un tavolaccio ed era costretta a tenere tra i denti una grossa candela accesa. Per “aiutarla”, l’ovale del viso veniva circondato con una cinghia di cuoio messa in maniera tale che le mascelle stringessero la candela e la mantenessero in posizione verticale, perpendicolare al viso. Mano a mano che la candela andava consumandosi, la cera colava sul viso provocando varie ustioni finché il mozzicone raggiungeva le labbra bruciandole. La tortura avrebbe avuto fine se la donna avesse confessato la sua comunanza con il demonio.
IMBUTO: si sdraia sul dorso il condannato, si infila lo strumento in bocca e si comincia a versare acqua senza riguardo alla quantità. Quando il ventre è adeguatamente dilatato, vi si possono esercitare robuste pressioni per complicare quel poco di vita che rimane al condannato. Se il carnefice ritiene di non avere abbastanza forza, con due dita tappa le narici della sua vittima e le impedisce di respirare con il naso. Poiché la dilatazione del ventre comprime il diaframma ostacolando il lavoro dei polmoni, occludere le vie respiratorie nasali significa moltiplicare in maniera insopportabile lo sforzo di respirare sino a giungere al soffocamento, senza contare la possibile rottura di vasi sanguigni.
TORO DI FALARIDE: si trattava di una statua di bronzo (di rame secondo altre fonti) esattamente uguale a un toro. L’interno era cavo e sul retro si apriva una botola che consentiva l’accesso a questa specie di stanza. Il funzionamento era apparentemente semplice poiché il condannato doveva essere rinchiuso all’interno del toro, sotto al quale sarebbe stato acceso un fuoco. Scaldandosi progressivamente il forno, le sofferenze del prigioniero sarebbero state tali da farlo gridare e urlare di dolore e paura. La raffinatezza consisteva in un complicato sistema di condotti collocato dentro le narici del toro, praticamente dei flauti, che avrebbero incanalato le urla disumane trasformandole in un melodioso muggito.
Questi, sono solo alcuni tra quelli, a mio avviso, più cruenti e imbarazzanti rispetto al concetto di società e di umanità. A questi possono aggiungersi la tenaglia, il chiodo, il cucchiaio, le forbici, la sega, la mannaia, la gabbia, la ruota ferrata o dentata, la garrotta, la lapidazione, lo stivaletto, la cicogna, il collare spinato, il panno imbevuto, lo sgabello per l’immersione, l’ordalia del fuoco, dell’acqua fredda, dell’acqua bollente, del veleno o acqua amara. Fino a giungere, ovviamente, a quelli più moderni, come le camere a gas, la sedia elettrica e l’iniezione letale (queste ultime due, in realtà, rappresentano una pena, anche se è evidente la tortura psicologica, e non entro volutamente nel merito delle motivazioni che spingono un giudice ad applicare la pena capitale).
Un libro sicuramente crudo, che non tutti sono disposti a leggere, ma che evidenzia un lato terribile e oscuro del nostro passato, che non può, purtroppo, non corrispondere a quella parte perversa, infima, demoniaca che, volente o nolente, è insita in ogni essere umano, e quando riesce a prevalere, è capace di mostruosità inenarrabili e incontenibili. E, a onor del vero, ritengo sia necessario conoscere alcuni aspetti di ciò che è stato, anche se sono raccapriccianti, anche se fanno male, anche se sono sconvolgenti. Per onorare la memoria di chi ha subìto soprusi, e per evitare che determinate azioni abominevoli possano ripetersi in futuro.
Pali, seghe, gabbie, asce, funi, chiodi, ruote, carrucole: la storia della tortura parte da qui, con l’uso di attrezzi che fanno assomigliare ridicolmente il boia a un fabbro o a un falegname. Più avanti, col trionfo della tecnologia, a un elettricista o a un maldestro cavadenti, il tutto supportato da una conoscenza assolutamente scientifica dell’anatomia. Le tecniche più efferate, sviluppate e perfezionate nell’arco di secoli, rivelano scopi sempre legati a un potere che, legalizzato o no, cerca la confessione, la conversione o semplicemente la sottomissione della vittima. Un dolore che dura secoli narrato senza moralismi, forse solo con un pizzico di ironia per non finirne travolti.
Autore: Giovanni Laterra
Editore: Rusconi Libri
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 21 marzo 2019
Pagine: 151 p., Brossura
EAN: 9788818033380
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